“Racconto le storie della mia famiglia, che ho sentito a mia volta raccontare da mia nonna. E che assomigliano a quelle di tanti altri immigrati italiani”. Così esordisce Patricia Suárez, santafesina, drammaturga e narratrice.

Si è formata con Mauricio Kartún, il più importante autore teatrale argentino vivente.

È autrice di una premiata trilogia ambientata nella Pampa, che parla di passioni e conflitti all’interno di una famiglia di immigrati italiani.

Amori proibiti, passioni, gelosie familiari e lotte per la terra e per l’eredità che ricordano le atmosfere dell’Abruzzo pastorale di La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio.

La tarántula è in replica sabato 26 agosto al teatro Patio de Actores (Lerma 568) a Buenos Aires (biglietti in vendita sulla piattaforma Alternativa teatral).

Racconta di come un giovane ottenga dal padre, sotto la minaccia delle armi, una donazione in vita della terra della famiglia, sullo sfondo di un amore pseudo incestuoso tra suocero e nuora.

La regia è di Claudio Aprile, con la convincente interpretazione di Maia Lancioni, Walter Muni e Gonzalo Pedalino, rispettivamente nuora, suocero e figlio.

Claudio Aprile nella vita è il marito di Patricia.

“Nel 2011, quando iniziammo a lavorare insieme, non lo era ancora” chiarisce divertita la drammaturga –. È un siciliano dal carattere focoso, ma rispettosissimo, in teatro, del lavoro dell’autore e degli interpreti. E anche lui, nella storia, ha ritrovato dei ricordi di famiglia”.

La seconda opera della trilogia è El escorpión, il seguito de La tarántula, che narra della causa promossa dalle due sorelle del giovane protagonista, per essere state defraudate della loro parte di eredità.

Infine, Natalina, è ispirata alla figura della bisnonna di Patricia Suárez. “Volevo raccontare la figura di una donna che diventa vittima della nuora – spiega Patricia – e si ritrova accerchiata e intrappolata nella sua stessa casa”.

Ovviamente l’elemento autobiografico è modificato per poter funzionare dal punto di vista drammaturgico.

“L’amore incestuoso de La tarantúla non è esistito davvero – dice Patricia –. E mia nonna, che interpreto io stessa, era diversa dal personaggio che descrivo in Natalina”.

La nonna di Patricia, María Recchi, era di origine marchigiana. La famiglia arrivò ad Arminda (a 60 km da Rosario) nel 1912. Un anno dopo nacque lei.

“Era una donna che ha lottato molto in un paese che aveva accolto la sua famiglia, ma che al tempo stesso era stato molto duro” afferma la drammaturga.

Per lei, poi, alla difficoltà di essere immigrata, si aggiungeva quella di essere donna.

“Le famiglie privilegiavano i maschi” ricorda Patricia. Suo fratello Fiorindo aveva potuto studiare e alla fine, con una pistola in pugno, si era fatto intestare la terra, calpestando i diritti delle due sorelle.

Continua Suárez: “Quando chiedevo a mia nonna come possibile che sua madre l’avesse permesso, lei rispondeva che la donna avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di tenere accanto a sé il figlio maschio”.

Storie familiari che si intrecciano alla storia di un paese in costruzione.

“La trilogia ha debuttato a Raffaela, nella provincia di Santa Fe – dice Patricia –. Lavoravamo con una compagnia filodrammatica, con gente abbastanza anziana. E tutti riconoscevano nei personaggi e nelle vicende un parente, un vicino, un conflitto familiare”.

Eppure, nell’opera di Patricia Suárez, c’è molto di più di un semplice costumbrismo (così si chiama, nella letteratura ispanica, la creazione di un’opera d’arte prendendo spunto dai costumi popolari).

Dice l’autrice: “Lavoro sul desiderio e su ciò che esso genera nella persone”. E quello non dipende da coordinate spazio-temporali, ma è universale.