"Centoquarantuno persone sono disperse in mare da ieri sera alle 22.30, quando il traghetto Moby Prince della Navarma partito dal porto di Livorno e diretto a quello di Olbia ha speronato la petroliera Agip Abruzzo all’ancora a 2,6 miglia dal faro del porto di Livorno, nel tratto di mare abitualmente usato come area di sosta. La prua del traghetto ha aperto una squarcio nella fiancata della petroliera provocando la fuoriuscita di tonnellate di greggio che si sono incendiate. Le fiamme si sono immediatamente propagate alle due navi e, soprattutto, hanno distrutto la Moby Prince che sta ancora bruciando. A bordo del traghetto c’erano, secondo i dati forniti dalla compagnia di navigazione, 142 persone, 68 membri dell’equipaggio (tra i quali sette donne) e 74 passeggeri. Fino a questo momento uno solo è stato tratto in salvo: si tratta del mozzo Alessio Bertrand, del compartimento di Torre del Greco. Bertrand al momento della collisione si trovava a poppa del traghetto, si è subito gettato in mare ed è stato raccolto in stato di choc da una motovedetta e trasportato all’ospedale di Livorno. Continuano le ricerche delle altre 141 persone, ma le speranze di trovarle in vita sono, secondo i soccorritori, pochissime. Si teme che siano rimaste intrappolate all’interno del salone del traghetto e siano morte soffocate”. Così l’agenzia ANSA lanciava alle 23.52 la notizia di una collisione tra due navi davanti al porto di Livorno.
Era una limpida sera di primavera quella del 10 aprile 1991, quando nella rada livornese, alle 22.25, il traghetto Moby Prince della Navarma entrò in collisione con l’Agip Abruzzo, petroliera della Snam, a 2,7 miglia dalla costa. Fu l’inferno: morirono in 140 tra passeggeri e equipaggio del Moby. Si salvò solo Alessio Bertrand, mozzo del traghetto che, partito alle 22, era diretto a Olbia. Tutti salvi sulla nave Agip. è stata la più grande tragedia della marineria italiana, finora senza colpevoli e con tanti misteri. La prua del Moby penetrò la cisterna numero 7 della petroliera: il greggio si riversò sul traghetto che si trasformò in un’immensa torcia con l’innesco delle fiamme, provocato forse dall’attrito delle lamiere. Varie le ipotesi sul perché accadde: nebbia, eccesso di velocità, un’esplosione, un guasto alle apparecchiature di bordo. Di certo i soccorsi arrivarono in ritardo: il traghetto fu individuato solo alle 23.35. Una “Ustica del mare” per i familiari delle vittime che dopo decenni di inchieste, processi e verità distorte e demolite continuano a chiedere che il Parlamento indaghi ancora per fare una volta per tutte chiarezza. Una prima commissione parlamentare lavorò per fare luce sulla tragedia. Le conclusioni, arrivate nel 2018, hanno portato anche alla riapertura delle indagini della Procura di Livorno.
“Mi ricordo una nottata con il mio amico Mauro da apocalisse, ma abbiamo salvato l’unico superstite del Moby. Un visibilio di sensazioni impressionanti che non puoi dimenticare mai”. Comincia così il racconto di Valter Mattei, 69 anni, che insieme al collega ormeggiatore Mauro Valli la notte del 10 aprile 1991 riuscì a salvare Alessio Bertrand, mozzo del Moby Prince e unico superstite della tragedia avvenuta nella rada del porto livornese. “Due navi che bruciavano in mezzo al mare - racconta Mattei, oggi in pensione - uno scenario inimmaginabile, una sensazione d’impotenza, ma noi eravamo lì e siamo andati sotto bordo alla petroliera in fiamme con una barchetta di sette metri senza cabina e con il rischio, ripensandoci a mente fredda, di lasciarci la pelle. Con questo Moby Prince che ripassava sulla scena della collisione ogni 40 minuti facendo dei giri che lo riportavano in prossimità dell’Agip Abruzzo”. “Noi eravamo in contatto con il comandante della petroliera - racconta ancora l’ex ormeggiatore - per cercare di mettere in salvo i membri del loro equipaggio, quando dalla mia radio ascolto la comunicazione di uno dei due o tre rimorchiatori che nel frattempo avevano raggiunto l’Agip Abruzzo: ‘Franco stai attento arriva da dritta una nave senza comando’. A quel punto abbiamo rincorso il Moby poi l’abbiamo perso nel fumo, nel vapore acqueo e nei banchi di nebbia, c’era di tutto, abbiamo sentito l’odore della nave che bruciava e così siamo riusciti a incrociarla di nuovo. In quel momento abbiamo visto Bernard che penzolava a un angolo di poppa del Moby, dal lato destro mi pare, si è lanciato in mare e così lo abbiamo raccolto. Continuava a lamentarsi dicendo che aveva camminato sui corpi, gli ho dato il mio giubbotto, e lo abbiamo consegnato a una motovedetta della capitaneria continuando a seguire il Moby per vedere se si buttava qualcun altro, ma purtroppo non si è buttato più nessuno. Girando attorno alla nave abbiamo visto che dentro il garage c’era un vero inferno di fuoco, così come dagli oblò uscivano solo fiamme. A quel punto abbiamo deciso di provare a seguire in corrente l’eventuale traccia di altri superstiti, ma riuscimmo a recuperare solo un pezzo di scialuppa che rimorchiammo a banchina”.
“Pure gli altri ce la dovevano fare, perché solo io? Non mi do pace su questo”. è quanto dice Alessio Bertrand, l’unico superstite della tragedia della Moby Prince. “Tutti i giorni vivo con l’ansia, con la depressione, prendo psicofarmaci”, aggiunge. Appena salvato il marinaio aveva urlato: “Restiamo qua, recuperiamo qualcun altro. Pure prima di andare nell’ambulanza al porto ero innervosito, e dicevo: aiutiamo gli altri, perché ci sono altre persone”. Ancora oggi Bertrand non riesce a dormire più di tre ore a notte. Con il risarcimento ha comprato la casa dove vive a Ercolano con la moglie e due figli, che mantiene con la sua pensione d’invalidità. All’epoca era un mozzo di 23 anni, imbarcato con lo zio: da allora non è mai più salito su una nave.