ROMA - L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, prevista dalla riforma Nordio, non viola la Costituzione, lo ha stabilito la Corte costituzionale al termine dell’udienza pubblica e della camera di consiglio, chiamata a esaminare le questioni di legittimità sollevate da quattordici autorità giudiziarie, tra cui la Cassazione.  

La Consulta, in attesa del deposito delle motivazioni previsto nelle prossime settimane, ha ritenuto ammissibili solo le questioni legate agli obblighi della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, la cosiddetta Convenzione di Merida, ma ha dichiarato tali questioni infondate. La Convenzione, secondo i giudici, non impone né di introdurre né di mantenere il reato di abuso d’ufficio. 

Soddisfazione è stata espressa dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ha visto nella decisione una conferma della piena legittimità dell’intervento del governo.  

Il Guardasigilli ha criticato le “strumentalizzazioni” di parte della magistratura e delle opposizioni, accusandole di aver alimentato l’idea che l’abrogazione violasse obblighi internazionali, “danneggiando l’immagine del Paese”. 

Alla luce della sentenza della Consulta, anche il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto sottolinea: “Legittimamente si è scelto di abrogare una fattispecie di reato molto gravosa nell'economia della giustizia, comportando oltre il 90% tra assoluzioni, archiviazioni e proscioglimenti, a fronte di danni gravissimi all'apparato amministrativo e, di conseguenza, ai cittadini”. 

Molto diversa la valutazione dell’opposizione.  

In particolare, Alfredo Bazoli, vicepresidente del gruppo Pd al Senato, segnala che la sentenza non cambia il giudizio politico: l’abrogazione dell’abuso d’ufficio resta “una scelta sbagliata e inopportuna”.  

Secondo il senatore dem, l’Italia si priverebbe così di uno strumento penale generale per contrastare gli abusi dei pubblici funzionari, allineandosi a pochi ordinamenti che ne sono sprovvisti.