Il voto di protesta sembra andare di moda in giro per il mondo e l’Australia non è sicuramente immune a questa crescente e diffusa insoddisfazione nei confronti della politica e dei politici. Elezione dopo elezione i maggiori partiti stanno facendo registrare un calo dei consensi e, solo grazie al sistema del voto australiano basato sulla distribuzione delle preferenze si arriva a maggioranze che, salvo l’eccezione del 2013 (governo Abbott), non sono mai particolarmente ampie. Nell’ultima tornata elettorale c’è stata la novità del progetto ‘teal’ anti-Coalizione ad agevolare il cambio della guardia a Canberra, indebolendo ulteriormente una squadra estremamente impopolare come quella guidata da Scott Morrison. Maggioranza di poco al di sopra del minimo per Anthony Albanese, resa possibile solo dai regolari accordi (mai ufficializzati) dei laburisti con i verdi per ciò che riguarda i voti preferenziali.

E, mentre si è appena imboccato l’anno elettorale, poco è cambiato sul fronte degli umori popolari: nessuna particolare voglia di cambiamento, ma anche nessun entusiasmo, solo uno stato di malessere generale con vari livelli di insoddisfazione e preoccupazione sul costo della vita, l’immigrazione, i prezzi della case (con speranze sempre più deboli di un’inversione di tendenza dei tassi d’interesse) e degli affitti, sul caro bollette, i  cambiamenti climatici e la variante, che nessuno si aspettava, della situazione palestinese dopo l’ennesima drammatica sanguinosa crisi nella striscia di Gaza.

Una variante che, negli ultimi dieci giorni, ha monopolizzato l’attenzione del pubblico con la presa di posizione della senatrice (ora ex) laburista del Western Australia, Fatima Payman, che ha aperto la strada a nuove prospettive elettorali, che potrebbero ulteriormente frammentare un quadro politico sempre più confuso ed incerto. Divisioni e rivendicazioni cavalcate con gusto specialmente dai verdi, promotori, con la loro militanza pro-Palestina, della spaccatura verificatasi all’interno dello schieramento di governo che ha portato la senatrice Payman sul banco degli indipendenti, con la prospettiva di importare anche in Australia il modello del ‘Muslim Vote’ britannico che, con la mobilitazione di attivisti filo-palestinesi e musulmani, ha alimentato un voto di protesta non solo anti-conservatori, ma anche anti-laburista, con un’aperta condanna della linea ritenuta troppo morbida nei confronti di Israele. 

Un ‘avviso’ con il messaggio sibillino della senatrice ribelle del ‘vedremo’ sul da farsi, per ciò che riguarda le prossime elezioni (lei non corre alcun rischio dato che nel 2019 è stata eletta nel Senato, con un mandato di sei anni) e la possibilità di una novità politica imperniata sulla questione palestinese.

I verdi gongolano dato che più l’elettorato è diviso, più consensi arrivano a scapito dei laburisti che si ritrovano impegnati su un doppio fronte: da una parte la Coalizione, dall’altra il fuoco ‘amico’ degli scontenti, a sinistra, che criticano qualsiasi tipo di compromesso su temi sui quali sostengono un’intransigenza che solo loro possono permettersi, non dovendo fare i conti con gli interessi nazionali né diplomatici, né economico-finanziari. Affitti, clima e Gaza nel mirino della squadra guidata da Adam Bandt e di possibili ‘nuovi’ indipendenti in seggi tradizionalmente laburisti, con crescenti possibilità di andare verso un governo di minoranza a causa del frazionamento sempre più esteso del voto.   

Il governo, nonostante le buone intenzioni, non farà mai abbastanza in un’ottica ambientalista per ciò che riguarda la riduzione delle emissioni e l’abbandono dell’uso di gas e carbone; non sta facendo abbastanza, sempre secondo Bandt, per cercare di risolvere il problema del caro-affitti e non può di certo soddisfare le aspettative di coloro che chiedono di tagliare ogni tipo di legame militare con Israele o di imporre sanzioni ad imprese filo-israeliane, oltre che prendere posizioni ancora più ferme di quelle già prese su uno Stato palestinese. Il primo ministro Anthony Albanese e la responsabile degli Esteri Penny Wong hanno disperatamente cercato di trovare un difficile equilibrio sulla crisi aperta dall’attacco di Hamas dello scorso ottobre, muovendosi con passi più felpati possibili per minimizzare contraccolpi politici, specie nei seggi più ‘direttamente coinvolti’ nel dramma che si sta consumando a Gaza. Alla fine i rischi ci sono di un’insoddisfazione che potrebbe sfociare in una perdita di consensi a favore di un’alternativa intrecciata sul fronte delle preferenze tra verdi e indipendenti filo-palestinesi che potrebbe avere un forte impatto per ciò che concerne il Senato, anche se non è da sottovalutare il rischio di qualche sorpresa anche per la Camera dei deputati. 

Questa nuova realtà politica messa in evidenza dallo strappo della senatrice del Western Australia (che sta creando non poche divisioni in casa laburista sia per ciò che riguarda le ‘regole’ interne del partito sulla condotta parlamentare, sia sulla questione palestinese) potrebbe avere conseguenze anche sul fronte politico opposto, con inevitabili irrigidimenti e allargati spazi di contro-protesta portati avanti da altri indipendenti o partiti come One Nation o lo United Australia Party. 

La questione palestinese è stata il fulcro di una campagna elettorale mirata di attivisti filo-palestinesi e musulmani in Gran Bretagna e hanno fatto il giro del mondo le immagini di alcuni candidati ai seggi con coccarde con i colori della bandiera palestinese. Albanese è preoccupato e non lo sta mandando a dire: lo ha sottolineato apertamente a più riprese, cercando di mettere in guardia contro divisioni a sfondo religioso di qualsiasi tipo. “No all’antisemitismo, no all’islamofobia e no alle prospettive - su cui si è già gettato a capofitto il leader dell’opposizione Peter Dutton -, di un governo di minoranza con i verdi e i ‘nuovi teal’ ispirati dal ‘coraggio’ dell’ex presidente dei giovani laburisti del WA Fatima Payman”, è il messaggio che il primo ministro vuole inviare agli elettori.

 “No all’estremismo dei verdi”, ha già detto Albanese in Aula, accusandoli  di alimentare divisioni e tensioni all’interno del Paese. “Quello che è troppo e troppo”, ha dichiarato il capo di governo, respingendo le loro prese di posizione sul Medio Oriente, sul progetto AUKUS, sul clima all’insegna di quello che ha definito un inaccettabile “estremismo politico-culturale”. 

Parole che pesano e allontanano la possibilità del ripetersi dell’esperienza del 2010, che ha permesso a Julia Gillard di formare un governo di minoranza che per tre anni è però stato ostaggio di chi lo ha reso possibile, trascinandolo poi nella disfatta elettorale del 2013. “Escluso riprovarci”, ha detto uno dei ministri di quell’amministrazione, l’ex leader sindacale Greg Combet che ha assicurato che la pensano così tutti i colleghi che hanno vissuto quei tre anni di continui ricatti e compromessi.  

La scelta è chiara: Albanese cercherà di prendere quanta più distanza possibile dalla minaccia verde e si prepara a malincuore a fare i conti con la possibile nuova realtà di quel milione di voti che, secondo il sito del Muslim Vote, sono a rischio e che riguardano da vicino il futuro di ministri di primo piano come Jason Clare, Tony Burke e Chris Bowen. “ The muslim votes matter”, è lo slogan che hanno usato nelle elezioni inglesi. E più chiaro di così è difficile.