MONTEVIDEO - Una panoramica sulla tradizione culinaria italiana attraverso la scoperta di uno dei suoi simboli più riconosciuti. Un omaggio al condimento tipico di una piccola città emiliana. Stiamo parlando di Modena e del suo aceto balsamico, protagonisti della conferenza Storie, sapori e segreti dell’aceto balsamico di Modena, che ha avuto luogo all’Istituto Italiano di Cultura di Montevideo lunedì 18 novembre, nell’ambito degli eventi legati alla Settimana della cucina italiana nel mondo.  

Oltre alla presentazione di Dario Caccamisi, antropologo ed agronomo, era presente anche Duccio Pistolesi, chef della Fiorentina, che ha preparato un grande classico tanto della cucina italiana come di quella uruguaiana per una degustazione a fine evento, la frittata di patate. 

Lo chef  ha spiegato che la scelta del piatto è stata presa su consiglio di Caccamisi, che “ha pensato che fosse perfetto per esaltare il gusto dell’aceto balsamico”.  

La frittata è stata servita con due tipi diversi di prodotto: Uno artigianale certificato dal Consorzio Aceto Balsamico Tradizionale di Modena importato direttamente dall’Italia, e uno commerciale, facilmente reperibile nei supermercati uruguaiani, offrendo così ai partecipanti un confronto diretto tra le due varianti. 

La serata è stata aperta dalla direttrice dell'Istituto Italiano di Cultura, Silvia Merli, che ha ricordato l’obiettivo della rassegna è quello di esplorare ogni anno un prodotto tipico della cucina italiana, ricordando i temi trattati nelle edizioni precedenti, ossia la farinata ligure, molto popolare in Uruguay con il nome di faina, e il Parmigiano Reggiano. 

Caccamisi ha illustrato la storia e le tecniche di produzione dell’aceto balsamico, un prodotto che affonda le sue radici in tradizioni secolari, spiegando anche le differenze tra le varie tipologie esistenti, dalla produzione artigianale a quella industriale, oltre che le specificità del prodotto, come l’acidità e i metodi di invecchiamento, che ne determinano la qualità e l'autenticità. 

Nella spiegazione, l’antropologo ha sottolineato come l’aceto esistesse già prima della diffusione del vino, addirittura ci sono indizi di un prodotto analogo nell’antico Egitto.  

“Già esistevano forme di fermentazione dell’uva e del mosto molto simili”, ha spiegato, aggiungendo che furono poi i Greci a diffondere la coltivazione della vite e permettere la diffusione dei suoi sottoprodotti. Quindi, spiega Caccamisi, “non si tratta di un semplice sottoprodotto del vino, ma qualcosa con una sua propria storia altrettanto importante”. 

Fino all’arrivo di Napoleone in Italia nel diciannovesimo secolo, l’aceto balsamico era però rimasto un prodotto di nicchia, consumato localmente nelle zone emiliane attorno a Modena, dove le varietà di uva disponibili erano inadatte per la produzione di vino di qualità a causa del basso contenuto alcolico.  

Con la conquista francese però, inizia a poco a poco a diffondersi, e proprio in quegli anni infatti troviamo le prime descrizioni dettagliate del procedimento produttivo. Tra le caratteristiche che rendono unico l’aceto tradizionale, Caccamisi ha citato in particolare la maggior densità, il colore più scuro e il sapore più dolce rispetto alle versioni industriali, dovute al processo di maturazione in botti piccole semichiuse da un panno di lino per oltre 10 anni. 

Alla fine dell'incontro, dopo un breve momento aperto alle domande del pubblico, i partecipanti hanno avuto l'opportunità di degustare la frittata di patate dello chef fiorentino, confrontando il sapore dell’aceto tradizionale con quello commerciale.