VALENCIA - Le alluvioni più letali nella storia moderna della Spagna hanno provocato la morte di almeno 214 persone, e decine di persone risultano ancora disperse a quattro giorni dalle piogge torrenziali che hanno colpito la regione orientale di Valencia. In una dichiarazione in televisione, il primo ministro Pedro Sanchez ha annunciato l’invio di 5.000 soldati dell’esercito spagnolo per assistere nelle ricerche e nella pulizia, in aggiunta ai 2.500 soldati già impiegati sul posto.
“È la più grande operazione delle forze armate spagnole in tempo di pace- ha dichiarato Sanchez sabato -. Il governo mobiliterà tutte le risorse necessarie per tutto il tempo che sarà necessario”.
Le autorità della regione valenciana hanno confermato, al momento, un totale di 211 morti nella zona, oltre a due vittime provenienti da Castilla La Mancha e una da Andalusia. Questo disastro rappresenta la peggior tragedia causata da inondazioni in Europa dal 1967, quando almeno 500 persone persero la vita in Portogallo.
Si sono riaccese alcune speranze di trovare superstiti riaccese quando i soccorritori hanno trovato viva una donna rimasta intrappolata per tre giorni in un parcheggio a Montcada, Valencia. I residenti hanno applaudito commossi alla notizia, annunciata dal capo della protezione civile, Martin Perez.
Ma la paura è molta per quanto sta accadendo nel più grande centro commerciale di Valencia, il Bonaire.
Un enorme cimitero di acqua e fango avrebbe cancellato la vita di un numero imprecisato di persone che cercavano di riprendere l’auto dal maxi-parcheggio del centro commerciale per sfuggire all’onda nera dello tsunami che martedì sera, in pochi minuti, ha trasformato Aldaya in un’immensa palude.
‘Benvenuti a Bonaire’ recitano i cartelli sul parcheggio del complesso di negozi alle porte di Valencia, il più grande della città, dove solo quattro giorni dopo la catastrofe i militari dell’Unità di emergenza dell’esercito (Ume) sono riusciti a entrare con i vigili del fuoco dopo aver drenato per 24 ore con le pompe idrovore i quattro metri cubici di acqua che hanno sommerso l’intero parcheggio sotterraneo: aveva una capacità di 1.800 posti auto, 5.700 quelli disponibili in tutto il centro commerciale.
Ancora non si sa quante persone siano rimaste intrappolate: i sub dell’Ume hanno dovuto aspettare che la melma fosse prosciugata per aprirsi il passo, ma qualcuno di loro ha già parlato di "un cimitero lì sotto".
Quando martedì sera si è abbattuta la Dana sul Levante spagnolo era ora di punta serale, con famiglie a fare acquisti o mangiare ai ristoranti. Lo scenario che si osserva oggi da vicino è da day after, con i manichini nelle vetrine ridotti a spettrali sagome nere di fango, scarpe disseminate nella melma assieme a vassoi di pizzeria. Chi ci lavorava stima che al momento della catastrofe ci fossero circa 650 persone, a parte i dipendenti degli esercizi commerciali e della ristorazione.
I tecnici dell’Ume allontanano i cronisti dall’accesso quando finalmente scendono nel sotterraneo dell’orrore. Potrebbe essere l’immagine peggiore di questa tragedia senza fine. Delle circa 1.900 segnalazioni di dispersi che avrebbe ricevuto il Centro di coordinamento delle emergenze della Generalitat Valenciana, già giovedì 600 persone erano state ritrovate dai propri cari. Ma, a parte il salvataggio di una donna sopravvissuta dopo essere rimasta per oltre tre giorni intrappolata nella sua auto sotto una catasta di veicoli, si continuano a contare i morti.
Come a Paiporta, dove il numero di vittime è salito a 72, delle 213 finora recuperate. "Ci sono strade dove ancora non è stato possibile accedere per i veicoli ammassati nel mare di fango", spiega José Antonio Redondo, assessore al Lavoro e al Commercio, che non rivela il numero di quanti risultano ‘desaparecidos’. Un conteggio che realizza il coordinamento dell’Unità militare dell’esercito e che non rende noto. "Sono decine quelli che mancano all’appello, almeno qui a Paiporta. Io ho un mio ex compagno di lavoro scomparso da giovedì, dopo essere stato visto per l’ultima volta in auto. Il veicolo è stato ritrovato, ma non il suo corpo", denuncia Juan Ramon Perez. "Ci sono intere famiglie scomparse delle quali non si hanno notizie da martedì", aggiunge.
Nel municipio di 25mila abitanti, diviso a metà dal torrente che durante la piena ha seminato morte e distruzione, oggi molte delle centinaia di volontari spalavano con le mascherine per proteggersi dal fetore della morte, unito a quello dei rifiuti ammassati agli angoli di strada che da quattro giorni non vengono rimossi. L’emergenza diventa sempre più di salute pubblica. "Siamo scampati alla morte, ma non scamperemo alle infezioni, non si può più respirare. Ho mia madre ammalata in casa e nessuno che viene ad aiutarci", denuncia Maria del Rocio Lara.
"Qualcuno dovrà pagare per averci abbandonati nella disperazione. Continuiamo a non avere la luce, l’acqua potabile e neanche la copertura telefonica per chiedere aiuto", aggiunge. Con una folla di volontari applaude l’arrivo dei mezzi dell’esercito, per la prima volta comparsi nel paese: due blindati con i cavi d’acciaio per poter trainare le migliaia di carcasse di auto che sbarrano gli accessi agli edifici. Negli istituti scolatici Luis Vive e Jaume I, due dei pochi edifici con la corrente elettrica, sono stati allestiti centri di distribuzione di viveri e generi di prima necessità. Passano due furgoni mortuari, con le ultime due salme recuperate dal parcheggio di uno stabile. Sono diretti alla morgue della Cittadella di Giustizia di Valencia, dove una ventina di medici legali giunti da tutta la penisola ha effettuato le autopsie su 186 delle 211 vittime accertate.
Sabato mattina (orario locale) numerosi volontari si sono radunati al Città delle Arti e delle Scienze di Valencia per la prima operazione di pulizia coordinata dalle autorità locali. Il centro è stato trasformato nel quartier generale per le operazioni di soccorso.
Sarà un lavoro duro e complicato, che comprende ancora la necessità di recuperare i dispersi e la speranza di trovare persone ancora in vita. Tanta è la rabbia e la stanchezza in chi sta vivendo un dramma. Nel sobborgo di Picanya, la proprietaria di un negozio, Emilia, 74 anni, ha espresso il suo disagio: “Ci sentiamo abbandonati, molte persone hanno bisogno di aiuto. Non è solo la mia casa, sono tutte le case; stiamo buttando via mobili, stiamo buttando via tutto. Quando arriveranno i frigoriferi e le lavatrici? Non possiamo nemmeno lavarci i vestiti o fare una doccia”.
Anche l’infermiera Maria Jose Gilabert, 52 anni, residente a Picanya, ha condiviso la sua frustrazione: “Siamo devastati, non c’è molta luce in fondo a questo tunnel. Non è perché non arrivino aiuti, stanno venendo da tutta la Spagna, ma ci vorrà molto tempo prima che questa zona torni ad essere abitabile”.
La tempesta ha innescato un nuovo allarme meteo nelle Isole Baleari, in Catalogna e nella stessa Valencia, dove si prevede che le piogge continueranno per tutto il fine settimana.
Gli scienziati avvertono che eventi meteorologici estremi come questo stanno diventando sempre più frequenti in Europa e altrove a causa dei cambiamenti climatici. I meteorologi ritengono che il riscaldamento del Mediterraneo, che aumenta l’evaporazione dell’acqua, giochi un ruolo cruciale nell’intensificare le piogge torrenziali.
In attesa che la situazione si stabilizzi, la Spagna affronta un difficile processo di ricostruzione e di sostegno ai tanti cittadini colpiti. Le immagini delle strade allagate e delle case devastate rimarranno impresse a lungo, ricordando a tutti l’urgenza di misure per contrastare il cambiamento climatico e mitigare i suoi effetti devastanti.