Al centro del progetto Flux_Unearthed, esposto fino al 27 aprile presso l’Articulate Project Space di Sydney, c’è un atto d’ascolto profondo.
L’artista italo-australiana Marta Ferracin non si limita a rappresentare la natura, le cede lo spazio, la lascia agire, la accoglie come co-autrice.
Questa installazione si compone di diversi schermi e mini computer realizzati ad hoc, affissi alla parete dello spazio espositivo. Le persone sono invitate ad avvicinarsi, guardare ogni schermo con attenzione e ascoltarne i suoni.
L’opera nasce da un gesto tanto semplice quanto radicale: quattro telecamere impermeabili in poliestere lasciate nella foresta per due anni.
“Lì, esposte alle intemperie, agli animali, agli insetti e al tempo, diventano terreno di scambio tra ciò che è umano e ciò che è non umano – spiega Ferracin –.
Il risultato di questa lunga attesa è un paesaggio materico e stratificato: impronte, polveri, foglie, micelio di funghi, radici, decolorazioni e tracce del passaggio del vivente si depositano sulle superfici come testimoni silenziosi di un processo alchemico”.
L’opera non è soltanto ciò che vediamo, è l’esito di un rituale di rispetto. Ferracin, infatti, prima di installare le tele, chiede “permesso al bush”, come forma di riconoscimento e alleanza.
La mostra, collettiva che fa parte del programma EARTH 2025 in occasione del ‘Mese Internazionale della Terra’, culmina in un’esperienza che include video documentativi, suoni ambientali raccolti nel sito e canti improvvisati dell’artista.
Questa parte sonora e visiva accompagna lo spettatore in una dimensione ritmica e intima, quasi ipnotica, dove il tempo lineare viene sospeso per lasciare spazio a cicli lenti, organici, profondamente connessi con il respiro del paesaggio.
Flux_Unearthed non è una denuncia né un messaggio didascalico, ma un invito a cambiare postura, a fermarsi, a osservare le micro-migrazioni della materia, i gesti invisibili con cui la biodiversità locale si adatta, resiste, coesiste.
L’opera diventa così una soglia sensibile, tra arte, ecologia e spiritualità.
Il lavoro di Ferracin si distingue per la lentezza radicale del suo processo e per la poetica della co-creazione.
Qui, l’artista non impone una visione, ma si lascia trasformare dal paesaggio. E il pubblico è invitato a fare lo stesso: entrare in uno stato di ascolto profondo, lasciarsi “scavare” e riscoprire, come le tele, qualcosa di non ancora emerso.