BRUXELLES –Nonostante le ultime buone notizie arrivate dalla Libia, dove la scorsa settimana le fazioni in lotta di Tripoli e Tobruk hanno deciso di firmare “un cessate il fuoco permanente”, il timore che la situazione possa ancora precipitare da un momento all’altro resta concreta.
E mentre i delegati dell’Onu discutono con i rappresentanti militari libici a Ginevra, l’attesa nei confronti delle nazioni europee è che si mettano in atto le decisioni prese durante la conferenza di pace sulla Libia, che si è svolta in pompa magna a Berlino lo scorso 19 gennaio. 
Tra i punti principali dovrebbe esserci il rilancio dell’operazione Sophia, rimodulata stavolta non per pattugliare il Mediterraneo contro i trafficanti di esseri umani, ma per far rispettare l’embargo totale sulle armi deciso proprio nella capitale tedesca più di due settimane fa. E che ci sia bisogno di agire rapidamente in questo senso lo testimoniano le reciproche accuse di aver violato il blocco tra Francia e Turchia degli scorsi giorni. 
A Bruxelles però le trattative in corso sembrano essersi arenate perché in molti si oppongono a rilanciare Sophia, soprattutto tra i Paesi del gruppo Visegrad, con l’Ungheria in testa, ma anche l’Austria. E non aiutano poi le reticenze espresse anche dall’Italia e dalla Germania. Il nodo resta sempre quello dei migranti e dell’accoglienza, perché, come si chiedono in molti, nel momento in cui una nave che sta monitorando il rispetto dell’embargo sulle armi incrocia un barcone di migranti ed è costretta dal diritto del mare a prestare soccorso, dove porta poi le persone salvate? Nessuno in Ue sa dare una risposta, da anni.