Fra poco più di un mese si comincia a fare sul serio: l’ha anticipato nel suo intervento al Circolo nazionale della stampa di Canberra l’ex leader sindacale ed ex ministro dei Cambiamenti climatici del governo Gillard, Greg Combet. Il ministro del Tesoro Jim Chalmers metterà nero su bianco per concretizzare il progetto di far diventare l’Australia un Paese leader nel campo dell’energia pulita. Due giorni dopo il capo dell’opposizione, Peter Dutton, insisterà, a modo suo, sull’obiettivo, allargando il dibattito con l’inserimento del nucleare di cui, sembra, comincerà a parlare fornendo qualche dettaglio sui possibili siti per le possibili centrali che ha in mente già entro un paio di settimane.

Economia ed energia i temi su cui si baserà la campagna elettorale del prossimo anno. Due temi che diventano sempre più strettamente legati, dato il traguardo bipartisan di quella quota zero (netto) in fatto di emissioni da raggiungere entro il 2050. Uno zero netto che si riferisce all’obiettivo di raggiungere un equilibrio tra le quantità di gas serra che vengono emessi nell’atmosfera e la quantità rimossa, con il risultato di non aggiungere ulteriori emissioni nel conteggio complessivo per evitare il surriscaldamento del Pianeta. 

Anthony Albanese aveva promesso, durante la campagna del 2022, che l’Australia sarebbe diventata una superpotenza mondiale nel campo delle rinnovabili e una nazione nuovamente capace di avere una propria attività produttiva. Il prossimo budget sarà l’occasione per cominciare a mantenere la doppia promessa inserendo un po’ di dati miliardari per la creazione di quella società ‘verde’ e più ‘giusta’ di cui ha parlato anche Chalmers, nel suo saggio sul nuovo capitalismo dell’inizio dello scorso anno. Una partnership governo e privati per creare una società migliore, per continuare a crescere, ma in modo diverso perché, secondo il ministro del Tesoro, la globalizzazione ha fatto il suo tempo. E gli obiettivi climatici offrono una grande opportunità per portare avanti il progetto del nuovo corso, con tanto di rilancio di un settore manifatturiero.

Nei prossimi mesi, come anticipato da Combet, la Net Zero Economy Agency (che al momento dirige), stabilita in luglio dello scorso anno, si trasformerà in un ente governativo vero e proprio che farà da guida per raggiungere tutti gli obiettivi ambientali sulla strada dello zero netto di metà secolo. Sarà quindi l’Authority che si curerà: della messa in opera delle politiche riguardanti le nuove opportunità di impiego di coloro che perderanno il lavoro con la chiusura delle centrali a carbone e a gas; del coordinamento dei sussidi per le comunità che saranno economicamente danneggiate dalla costruzione di nuovi impianti eolici e solari; dell’estrazione delle materie prime critiche sempre più importanti per le batterie di auto elettriche e per la transizione ecologica in generale, ‘consigliando’ aziende private su investimenti in determinati settori produttivi e fornendo gli incentivi necessari allo sviluppo di progetti minerari o industriali. Fra gli obiettivi della nuova era economica con il ritorno dello Stato un po’ imprenditore,  la costruzione di pannelli solari mettendosi in concorrenza con la Cina, al momento leader mondiale del settore. Albanese non ha dubbi al riguardo: “Diventeremo competitivi perché siamo in grado di esserlo”. “Basta guardare quello che sta succedendo intorno al mondo, dobbiamo diventare più resilienti – ha continuato il primo ministro -. Vogliamo un futuro sempre più ‘made in Australia’ e non ci scusiamo di certo per avere l’ambizione e l’obiettivo di rilanciare un nostro comparto produttivo”. 

Combet ha spiegato che il governo dovrà investire, nei prossimi decenni, centinaia di miliardi di dollari per finanziare iniziative per la produzione di energia pulita se si vuole davvero raggiungere i traguardi prefissati e che la Net Zero Economy Authority dovrà trovare il modo di coordinare una moltitudine di diversi progetti federali, statali e privati in modo che non si sprechino inutilmente risorse, ma si concentrino costruttivamente gli sforzi per raggiungere il traguardo della neutralità carbonica, lontano solo poco più di un quarto di secolo.

Poi la solita retorica del “nessuno rimarrà indietro”, delle assicurazioni che lavoratori e comunità che dovranno rinunciare a qualcosa, durante l’inevitabile periodo di transizione verso la società verde del futuro, saranno adeguatamente protetti.  

Altroché fine della ‘guerra sull’energia’, come aveva promesso Albanese, con un programma chiaro e condiviso che avrebbe messo una volta per tutte l’Australia su una rotta sicura in campo ambientale. Invece l’insicurezza regna sovrana con obiettivi belli sulla carta, ma che non offrono alcuna certezza di fattibilità, nei tempi e nei modi che vengono proposti da un ministro dell’Energia e dei Cambiamenti climatici che non accetta compromessi. Chris Bowen scarica, senza mezzi termini, qualsiasi perplessità o dubbio e, soprattutto, boccia senza riserve il possibile sviluppo - non come alternativa, ma come aggiunta all’eolico, al solare e al gas - del nucleare, ventilato da Dutton con difesa, nei tempi necessari per assicurare una transizione meno traumatica possibile, del carbone. 

Più di qualche esperto in materia, davanti a questo infinito dibattito fatto di divisioni e scontri, continua a pensare che l’Australia sia causa del proprio male, dato che tra il 2007 e il 2012 le soluzioni erano state trovate e che solo l’intransigenza e l’opportunismo politico dei verdi prima e della Coalizione poi, hanno trascinato il Paese in questa guerra (politica) infinita. La cosiddetta ‘borsa delle emissioni’ (Emission Trading Scheme) di Kevin Rudd era sembrata l’inizio di un percorso ideale per la decarbonizzazione: i verdi, però, si sono opposti, volevano di più e hanno optato per quello che si è poi rivelato un catastrofico ‘tutto o niente’. Poi è arrivata Julia Gillard con quella tassa sul carbonio che di sbagliato ha avuto sola la promessa elettorale (nella campagna del 2010) che non sarebbe stata introdotta. La sua cancellazione, dopo la sua introduzione nel 2012, è stata la promessa-simbolo di Tony Abbott che, una volta vinte le elezioni del 2013, si è fatto certo di mantenere, con tutti i costi del caso che continuiamo a pagare.

Peccato! Perché il mercato avrebbe aiutato la corsa verde e le aziende avrebbero recitato la loro parte. Ora, invece, devono essere guidate e coordinate da burocrati e politici, incentivate con aiuti finanziari in una partnership, auspicata da Chalmers, tutta da scoprire. Il 14 maggio sapremo qualcosa di più in merito e Dutton, un paio di giorni dopo, aggiungerà altre varianti per prepararci a una nuova battaglia.