Chef Antonio de Benedetto non è il tipico cuoco da programma televisivo. La sua è una missione di inclusione sociale che parte da una cucina di Asti per rivoluzionare, in tutto il mondo, i nostri stereotipi sulle disabilità intellettive. Fondato nel 2006 nella città piemontese dello spumante, il progetto Albergo Etico offre un programma triennale di formazione al lavoro per ragazzi con sindrome di Down, basato sull’esperienza diretta nell’albergo-ristorante. In pochi anni sono nate realtà di Albergo Etico a Roma, in Valle d’Aosta, Argentina, Albania, Slovacchia e anche qui in Australia, nelle Blue Mountains.
“L’idea del documentario è nata una sera a cena in compagnia del mio montatore e sua moglie, la quale si è sempre occupata dei diritti delle persone disabili, e per lavoro aveva visitato Albergo Etico ad Asti. Conosceva la mia passione per le storie che legano il cibo a un contesto sociale più ampio. Ho fatto un po’ di ricerche e dopo uno scambio di email sono andato in Italia con il direttore della fotografia. Ci siamo innamorati subito del posto, e in breve tempo tutto lo staff si è abituato alla nostra presenza: sono diventato un attrezzo della cucina”, scherza Trevor Graham, regista del documentario Chef Antonio’s Recipes for Revolution, in programma al Melbourne International Film Festival a partire da domenica 8 agosto. La pellicola completa la trilogia di Graham in cui il racconto del cibo va oltre il resoconto puramente gastronomico per sviscerare una storia dai contorni molto più drammatici. Make Hummus Not War, del 2012, esplorava il conflitto israelo-palestinese attraverso la passione dei due popoli per la famosa crema di ceci, mentre Monsieur Mayonnaise, uscito nel 2016, ripercorreva le storie di resistenza nella Francia occupata da nazisti degli artisti coniugi, poi emigrati in Australia, Mirka e George Moira: quest’ultimo nascondeva documenti e passaporti dentro baguette ricolmi di maionese.
Dopo la prima visita ad Albergo Etico alla fine del 2017, Trevor Graham e la sua troupe sono tornati in Piemonte altre sei volte per completare le riprese, soggiornando all’hotel per un totale di sei mesi, e girando le ultime scene proprio mentre scoppiava l’emergenza coronavirus nel Nord Italia. “È sicuramente un vantaggio aver filmato per un periodo così lungo: nel documentario si può cogliere il senso del tempo che passa e di come le storie dei ragazzi si evolvono. Non è tutto ‘rose e fiori’, e nel corso delle mie visite ho visto sia i successi sia i fallimenti di questi ragazzi. Il film vuole mostrare che è sì possibile raggiungere il proprio potenziale, e superare i limiti delle disabilità, attraverso sostegno, formazione e opportunità, ma che resta pur sempre una situazione difficile. Uno dei protagonisti del documentario a un certo punto ha un malore e deve sottoporsi a un’operazione molto delicata. Abbiamo scelto di includere alcune scene molto intime tra lui e la madre in ospedale”.
Il documentario segue le vicende di tre personaggi principali: lo chef Antonio de Benedetto e due ragazzi innamorati, Mirko Piras e Jessica Berta.
“Ero partito con l’idea generica di proporre un film con un messaggio positivo, perché l’albergo rappresenta un esempio incredibile di come abbattere certe barriere, ma volevo anche entrare nella vita di questi ragazzi”. Vediamo Mirko e Jessica alle prese con le loro mansioni quotidiane nell’albergo-ristorante, ma anche negli alti e bassi del loro rapporto sentimentale e dei loro scambi con lo chef. “Antonio è una persona molto carismatica - continua Graham -, ha un cuore grande, ma sa anche essere duro, come tutti gli chef quando devono gestire una cucina indaffaratissima, dato che al ristorante di Albergo Etico si contano fino a 150 coperti a sera. I ragazzi sono colti spesso in situazioni molto stressanti, ma questo fa parte del lavoro. Anche le molte parolacce!”.
Chef Antonio’s Recipes for Revolution è il primo documentario nato da una co-produzione ufficiale tra Italia e Australia, e Trevor si rammarica di non poter condividere con i suoi amici astigiani la visione della pellicola ultimata. “Asti è una città non troppo grande e ho conosciuto tantissime persone che mi hanno aperto le loro porte di casa, invitandomi a tavola con loro - conclude il regista -. Sono tornato con un giro di vita di qualche centimetro in più!”.