Ufficiale gentiluomo e grande viveur, Gianni Agnelli è stato un emblema di stile, vero e proprio ambasciatore dell’eleganza italiana nel mondo.  Con il piumino sopra il blazer, le camicie con il colletto “button down” e le cravatte sventolate sopra il pullover. Oppure i maglioni a collo sciallato o a coste inglesi indossati allo stadio, gli scarponcini di camoscio anche per le occasioni formali e l’orologio rigorosamente sopra il polsino della camicia. Un mito, celebrato persino da un quadro di Andy Warhol, che in tanti hanno cercato di imitare. Ma sempre senza riuscirci. 

L’Avvocato era l’Avvocato, una leggenda moderna, un uomo cui tutto era permesso. Non un figurino “leccato”, anzi, pareva odiasse l’eleganza troppo accurata. Eppure, faceva moda anche quando si presentava in pubblico con un vecchio cappotto grigio con la martingala, o quando indossava giacca e pantaloni scompaginati, di due abiti diversi ma simili. Nonchalance e understatement, più usciva dai canoni e più veniva considerato elegante.

Come quando a New York, nel 1992, durante una serata di gala organizzata dalla Fiat, si presentò con un abito in pesante lana gessata, di quelle di una volta, forse tirato fuori dal guardaroba di quando era giovane, visto anche che non riusciva ad abbottonare la giacca. 

Il viso sempre abbronzato, anche quando il tempo iniziò a scolpirlo con profonde rughe, la sua disinvoltura seguiva comunque regole precise: mai calzini corti, ad esempio, mai scarpe a punta e capelli portati un po’ lunghi anche quando tutti li avevano corti. Particolari che gli attribuivano un’aria al di sopra del tempo e delle mode.