BUENOS AIRES – Una mostra itinerante, ideata dal Circolo Giuridico d’Argentina, sulle Carceri d’invenzione di Giovanni Battista Piranesi, architetto e incisore del ‘700, esponente della cosiddetta corrente del vedutismo. Pittori che ritraevano rovine, paesaggi, scorci di città d’arte. Quadri che “avevano mercato”, perché venivano acquistati dai viaggiatori stranieri impegnati nel cosiddetto Tour d’Italie e che desideravano un souvenir di viaggio.
La mostra è dedicata a una serie di incisioni con vedute di carceri immaginari, conservate nella collezione della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Quattro lamine di grandi dimensioni più il pezzo forte: un video labirintico e vertiginoso sui lavori di Piranesi, realizzato dall’artista Grégoire Dupont, con un effetto talmente avvolgente da risultare simile alla realtà virtuale.
Un video che ci proietta direttamente in quella che la scrittrice francese Marguerite Yourcenar chiamò “la mente nera di Piranesi”.
Come spiega la presidente del Circolo Giuridico e curatrice della mostra, Malena Errico, “Carceri è un’esperienza immersiva che invita ogni spettatore a riflettere sul proprio ruolo come costruttore di libertà, progresso, pace, sviluppo di ogni individuo”.
La mostra è stata presentata in un evento al Círculo Italiano, per l’occasione nel ruolo di anfitrione.
Mafalda Trotta, architetta, storica dell’arte e docente alla scuola italiana Cristoforo Colombo di Buenos Aires, ha parlato degli artisti che hanno influenzato Piranesi (come Canaletto, Tiepolo, Vanvitelli…) e quelli che ne sono stati influenzati (Turner, Escher, Sant’Elia…).
Adela M. Salas, docente di Storia dell’Università del Salvador, ha collocato Piranesi nel suo tempo, il XVIII secolo, epoca di grandi cambiamenti, caratterizzato da sete di conoscenza e desiderio di imporre la ragione sulla superstizione. È il secolo dell’Illuminismo, di grandi passi avanti in campo scientifico. “Si abbassa la mortalità grazie all’uso di acqua e sapone e al miglioramento dell’alimentazione – dice –. È il secolo di tre rivoluzioni: industriale, francese e americana”.
È anche il secolo in cui si sviluppa la cultura giuridica così come la conosciamo, l’idea che la pena non dovesse consistere in una punizione fine a stessa, nell’inflizione di dolore, ma in un’azione di recupero sociale del condannato.
Così almeno sosteneva Cesare Beccaria, autore di Dei delitti e delle pene, pubblicato nel 1774: quattro anni prima della morte di Piranesi, ma molto dopo la realizzazione delle Carceri d’invenzione, che fanno parte della produzione giovanile dell’artista.
Per questo, come ha fatto notare in un contributo video Nicola Russo (magistrato della Corte d’Appello di Napoli), “Piranesi ritrae il carcere come luogo in cui muore la speranza. E muore per tutti, perché i condannati e i loro carcerieri-aguzzini hanno la stessa espressione desolata”.
Russo, tuttavia, non rinuncia a intravedere una possibilità di redenzione nemmeno nell’umanità disperata di Piranesi. E ricorda la Costituzione italiana, che specifica che l’esperienza carceraria deve puntare alla rieducazione e risocializzazione del condannato, a cui spetta un trattamento umano e dignitoso.
Lo conferma Manuel Izura, avvocato, esperto in diritto penale e membro del Consiglio della Magistratura della Città Autonoma di Buenos Aires. “La pena detentiva – sottolinea – riguarda solo la riduzione della mobilità ma non deve colpire il diritto alla salute, all’istruzione, ai contatti con la propria famiglia. Purtroppo dal 1992, quando ho iniziato a occuparmi di carceri, fino a oggi, non ho visto miglioramenti”. La probabilità che chi esce di prigione torni a commettere reati è molto alta e, sostiene il giurista, è necessario trovare strade alternative alla carcerazione.
“Ora la mostra partirà per diverse tappe e sarà ospitata da istituzioni come l’Universidad del Salvador di Buenos Aires e l’Universidad Nacional di Rosario – dice Malena Errico –. E siamo a disposizione di tutte le realtà interessate a esporre il materiale nei loro spazi”.