Voce, talento, musica, curiosità, tenacia: tutte queste parole raccontano una donna speciale, Caterina Caselli, la ragazzina scatenata degli anni Sessanta e quella “cresciuta” come oggi si definisce.

Settantacinque anni, una prima vita artistica folgorante nella seconda metà dei favolosi ‘60 durata una manciata di anni per sua volontà e una seconda lunghissima come imprenditrice, dopo aver lasciato il palco, sposato Piero Sugar della dinastia della mitica Cgd e scelto di dedicarsi alla musica da produttrice e talent scout di grande intuito.

Modenese come Luciano Pavarotti (“ci siamo frequentati a Milano, pranzavamo insieme tutti i giorni, io lavoravo con Giorgio Gaber, lui con Mirella Freni”), ai giorni nostri si racconta davanti alla telecamera di Renato De Maria, un flusso ininterrotto di ricordi, gioie, dolori (racconta il suicidio del padre, vissuto tutto dentro, quando aveva 14 anni, “una ferita che mi ha accompagnata e di cui parlo ora pubblicamente” e anche il tentativo di sequestro del marito Piero nella stagione dei rapimenti).

“Caterina Caselli, una vita, cento vite” è il titolo del film, colonna sonora che è storia d’Italia dalle sue hit (“Nessuno mi può giudicare”, “Perdono”, “Sono bugiarda”) a quelle degli artisti che hanno incrociato la sua carriera, da Elisa ad Andrea Bocelli, a Giuni Russo, passando per “Si può dare di più” del trio Morandi-Tozzi-Ruggeri che sbancò Sanremo a Paolo Conte, da Raphael Gualazzi ai Negramaro per citarne solo pochissimi. Uno scrigno di ricordi, volutamente cronologico, volutamente “statico”, con Caselli sul divano a raccontare la sua vita e le sue esperienze. Spiega perché senza rimpianti ha lasciato il palco: “Quegli anni così intensi furono gioia, mi avevano inebriato, ma soffrivo le gare, come il Cantagiro e il Festival di Sanremo, e il ‘richiamo della giungla’ dopo un po’ di anni l’ho trovato lo stesso, aiutando ad emergere gli altri”. Si commuove perché il primo ciak è arrivato nel giorno della morte “del mio carissimo Ennio”, il compositore Morricone che pure era in etichetta. 

Appare al pubblico al naturale, i capelli corti che stanno ricrescendo, dopo la malattia di due anni fa che aveva nascosto sotto una parrucca. E chissà che la consapevolezza di non essere invincibile non sia a monte del film: “Volevamo raccontare la storia della nostra azienda cominciamo con quello che abbiamo in casa, con la storia della mamma”, dice tenero il figlio Filippo, produttore, terza generazione ora a capo di Sugar Music. “Non faccio canzoni ye-ye ma beat, ye-ye è allegro, spensierato, carino, il beat batte in quattro il tempo e vuole la voce arrabbiata”, dice giovanissima in un’intervista di repertorio in cui mostra, erano più o meno i tempi del Piper, tutta la forza di una donna che è sempre stata un passo avanti. Basta ricordare la gavetta trascorsa suonando il basso nei primi complessi che si esibivano nelle balere emiliane nei primi anni ‘60, non proprio usuale per l’epoca.

Come spesso accade, anche la sua carriera è decollata grazie a un colpo di fortuna. Era il 1966, si avvicinava Sanremo e Adriano Celentano decise di partecipare con “Il ragazzo della via Gluck” scartando il brano già scritto per lui. Quella canzone era “Nessuno mi può giudicare” e fu affidata proprio a Caterina, un festival di Castrocaro alle spalle, quella ragazza così affine al mondo del rock. Il festival lo vinsero Domenico Modugno e Gigliola Cinquetti con “Dio come ti amo”. ma “Nessuno mi può giudicare” vendette un milione di copie e occupò per 11 settimane il primo posto della classifica. Nel frattempo, nell’epoca di Mina la Tigre di Cremona, Iva Zanicchi l’Aquila di Ligonchio e Milva la Pantera di Goro, era nata Casco d’oro, mutuando il titolo da un film con Simone Signoret. 

Da quel momento Caterina Caselli diventava una star del beat italiano, la voce femminile più vicina al rock’n’roll, se si pensa che ha cantato le cover italiane di “Paint it Black” dei Rolling Stones (“Tutto nero”), “I Put A Spell On You” di Screamin’ Jay Hawkins (“Puoi farmi piangere”) e che “Sono bugiarda” è la cover di “I’m a Believer”, la super hit dei Monkees scritta da Neil Diamond. 

E anche oggi che guarda indietro per raccontarsi pensa al futuro: “I ragazzi hanno vite più complicate di quelle della mia generazione: escono 60.000 proposte al giorno nel mondo, 6.000 solo in Italia, affermarsi è davvero complicato”, dice. Oggi, la cantante che si “dimenava” come si diceva all’epoca, alla quale era impossibile stare dietro, la giovane adorata dalle ragazze con il suo imitatissimo caschetto corto biondo di Vergottini, la particolare acconciatura che la caratterizzava nel periodo di maggior successo, continua “a vivere sul filo del futuro”, partecipando al rinnovamento dell’etichetta di famiglia, seguita dal figlio Filippo.

“Oggi c’è molto sensazionalismo, sono tutti forti, bravissimi, sorridenti, la competizione è fortissima - sottolinea lei che ribadisce di essere sempre stata “a disagio con le gare” - il talento è timido, è democratico, può uscire ovunque. Chi ha qualità prima o poi emerge, io alla qualità ci credo ancora”.