Tariffe aeree a metà prezzo per incoraggiare il turismo interno. È la proposta del governo federale che mette però in evidenza un aspetto ancora incompiuto della sua attività politica: la possibile, e si spera prossima, riapertura dei confini internazionali.
La chiusura delle frontiere ha difatti rappresentato l’elemento chiave per l’Australia per sfuggire all’inaspettata crisi pandemica da COVID-19, “strategia adottata per contrastare la diffusione del virus”, come scrivono dal dipartimento degli Affari Interni.
Il quesito resta ancora invariato, le vaccinazioni consentiranno al Paese di riaprire i suoi confini, ma la domanda è quando. Non è stata infatti ancora indicata una percentuale di popolazione da vaccinare per poter garantire la riapertura delle frontiere; i cittadini potrebbero quindi misurare i progressi verso tale obiettivo. E mentre il governo federale continua a insistere che il lancio della campagna vaccinale è sulla buona strada – nonostante abbia mancato i primi obiettivi – il presidente dell’Australian Medical Association, Omar Khorshid, ha dichiarato che “se si fa riferimento a semplici calcoli matematici”, l’obiettivo di terminare le vaccinazioni alla fine di ottobre è “davvero molto ambizioso”.
Sono ancora 40mila gli australiani che tentano di tornare a casa, tra rigide restrizioni sugli arrivi internazionali, mancanza di voli e isolamento in albergo, eppure una coalizione parlamentare, presieduta dal liberale Julian Leeser, ha avanzato la richiesta a destinare “posti di riserva in aereo e in albergo per la quarantena a migranti qualificati” per combattere la perdita di oltre 500mila residenti su visto temporaneo che hanno lasciato il Paese; una dichiarazione che suona quasi come uno schiaffo verso chi ancora si dispera nel cercare di sedersi in aereo e ritrovare poi il calore della propria abitazione.
“Torno a casa – ha raccontato Daniel Donà, tra i migliaia di italiani che hanno abbandonato l’Australia nell’ultimo anno –, il mio visto è scaduto, ma per fortuna non ho avuto alcuna difficoltà a trovare un volo Qatar per ritornare in Italia”.
Per Daniel, l’esperienza australiana è stata tra le più entusiasmanti della sua vita, ma ammette che avrebbe preferito “riuscire a restare”; adesso ad aspettarlo c’è la Svizzera, dopo una sosta di tre settimane nella sua Domodossola.
Daniel Donà, originario di Domodossola
E di fronte a chi lascia il Paese, restano impotenti i migliaia di italiani che desiderano soltanto riabbracciare le proprie famiglie. Linda Carnessali, residente a Fremantle da circa sette anni e originaria di Milano, è diventata mamma da pochissimo: “Da quando è nato Massimo, ho deciso di attendere per evitare di restare bloccata all’estero; i miei genitori vogliono ancora venire qui a farmi visita, ma le norme sono troppo rigide, le esenzioni impossibili da ottenere e le spese davvero esose – ha raccontato –. Essere madre in un altro Paese, lontani dalla famiglia, è difficile, non hai purtroppo la possibilità di poter contare sull’aiuto dei nonni, ma io ho imparato ad adattarmi e per ora non tornerei in Italia perché Massimo è ancora molto piccolo”.
Linda Carnessali, originaria di Milano
A tornare in Italia per tre mesi sono stati invece Joanna Balliro e il suo compagno Vincenzo, insieme alla loro bambina Francesca di quasi due anni; residenti a Melbourne, sono riusciti a viaggiare grazie a un’esenzione governativa ottenuta per ‘motivi compassionevoli’.
“Mio cognato era molto malato, i dottori non gli avevano dato molto tempo; siamo tornati a Lamezia Terme, in Calabria, e siamo riusciti a salutarlo prima di dirgli addio. Il governo ci ha però permesso di tornare soltanto per tre mesi, non oltre – ha raccontato Joanna –. Adesso siamo ad Adelaide per i quattordici giorni di quarantena, presso l’hotel Pullman, e devo ammettere di esserne felicemente sorpresa; gli alberghi adibiti all’isolamento a Melbourne non fornivano alcun aiuto e nessun servizio per i bambini al di sotto dei due anni, ad Adelaide, invece, non solo riceviamo pasti caldi mattina e sera, ma abbiamo a disposizione una cucina dove poter preparare da mangiare a nostra figlia”.
A sorprendere Joanna è soprattutto l’attenzione dell’intero staff, dagli operatori sanitari che chiamano continuamente per essere aggiornati sulla salute mentale dei residenti, al portiere dell’albergo che li chiama al telefono anche solo per scambiare due chiacchiere.
“Avremo un ulteriore test COVID-19 al decimo giorno di isolamento e, una volta ricevuti i risultati, potremo prenotare un aereo per tornare a Melbourne – ha continuato –, ma saremo noi a pagare il volo ed è l’unico aspetto che non sento di condividere: abbiamo prenotato il viaggio lo scorso novembre e la deviazione ad Adelaide non è stata una nostra scelta”.
Joanna Balliro insieme al suo compagno Vincenzo e la figlia Francesca
Ha invece provato a richiedere un’esenzione di viaggio per i suoi genitori, per ben dieci volte, Giulia G., residente a Sydney, sposata con un cittadino australiano e mamma di due bambini di tre anni e dieci mesi; lo scorso anno, nel pieno di una gravissima e globale emergenza sanitaria, suo padre ha dovuto affrontare la lotta terribile contro un cancro alla vescica e nonostante la sottoscrizione di continue documentazioni mediche, il governo federale ha ogni volta bocciato la richiesta di viaggio.
“Per fortuna mio padre ora sta bene – ha spiegato –; il nostro piano originario era fare domanda per un parent visa, perché anche mia sorella ha sposato un cittadino australiano e in Italia loro sono completamente soli. Ho provato qualsiasi modalità per poter ottenere l’esenzione, anche dimostrando che i miei genitori hanno disponibilità finanziarie e un’assicurazione privata, quindi non avrebbero pesato sull’economia australiana. Purtroppo, ogni volta mi è stata negata e intanto hanno già venduto casa a Roma. Soltanto i mobili sono in viaggio verso l’Australia”.
Giulia G. ha richiesto un’esenzione di viaggio per ben dieci volte e le è stata sempre negata
Il padre di Giulia ha già ricevuto la prima dose del vaccino Pfizer, perché chirurgo urologo e operatore sanitario in prima linea: “Mi sembra assurdo, dopo un anno, che il governo ancora consideri ‘immediate family’ coppie da poco insieme, piuttosto che i genitori di un residente australiano – ha continuato –. Credo che si stia davvero giocando con la salute mentale dei cittadini, e inizio a chiedermi, ‘Perché io non conto?’”.