Il destino può colpirti in un secondo, ferocemente. O lentamente. E cambiarti l’esistenza per sempre. Al grande bivio, si gioca la partita della vita: arrendersi e soccombere? O combattere e affrontare difficoltà, sfide o amputazioni, fisiche ed emotive? Lo shock può essere devastante. Lì può scattare qualche cosa di profondo e misterioso, che fa emergere dal corpo e dall’anima risorse potenti e inattese. Quella capacità di resilienza è una lezione per tutti noi.

Anche quest’anno ho seguito molte gare delle Paralimpiadi di Parigi. Quanto coraggio, quanta forza di volontà, quanta voglia di reagire e di combattere. Ammirazione, rispetto, commozione crescono mentre leggo poi le storie di atleti che attraversano l’inferno, e lo affrontano ogni giorno, nei mille risvolti che ogni storia porta con sé. Il colpo può arrivare in un incidente, per una malattia severa o una malformazione. O per qualcosa di impensabile. Come è successo ad Ali Truwit, una bellissima ragazza bionda americana, che ho ascoltato ieri in un’incisiva intervista alla CNN. Ali si è laureata 16 mesi fa alla prestigiosa Università di Yale, dove faceva parte anche della squadra di nuoto. Felice, va a festeggiare con le amiche nuotando nelle splendide acque delle isole Turcs e Caicos, al largo della Florida. In una giornata di gioia luminosa, di nuoto allegro e spensierato, uno squalo l’attacca: «Ho cercato disperatamente di evitare il morso. Impossibile: in un secondo mi sono trovata con la mia gamba nella sua bocca», racconta Ali. Lo squalo le strappa un piede e lacera brutalmente la gamba. Con un guizzo vitale disperato, Ali nuota verso la barca con un’emorragia quasi mortale. In ospedale, subisce multiple trasfusioni. La gamba, lacerata in troppi punti, non può essere salvata e viene amputata. Ali è sotto shock: «Mi vergognavo, non volevo che nessuno vedesse la mia protesi. Ho chiesto ai miei genitori di buttare via i costumi da bagno e tutto quello che mi ricordava la vita precedente. Quando ero sana e felice». La ripresa è difficile, molto difficile. Ma poi scatta qualcosa. La sua ex allenatrice dell’Università, Jamie Barone, già in pensione, decide di rientrare per aiutare Ali nella riabilitazione in acqua. E nell’acqua, nel nuoto, nel gusto della competizione, Ali ritrova la via della vita. A dicembre 2023 compete nei giochi paralimpici USA. E 16 mesi dopo, Ali vince l’argento nel nuoto a Parigi.

Per Simone Barlaam, nuotatore italiano d’oro, il colpo sinistro della vita arriva a 5 anni, per un’osteomielite, un’infezione pericolosa alle ossa dopo un intervento alla gamba. Anche per lui, chirurgie plurime, la vita in salita, il nuoto come rampa di lancio per affermare una strepitosa voglia di vivere e lottare. Magnifico il suo sorriso mentre canta l’inno di Mameli alla premiazione. Commovente e drammatica l’intervista ad Ambra Sabatini, che cade quasi sul traguardo dei cento metri piani, forse per un problema alla protesi, travolgendo nella rovinosa caduta la compagna di squadra, Monica Contrafatto, che correva nella corsia vicina. A Tokyo Ambra aveva vinto l’oro, Martina Caironi, oro quest’anno a Parigi, aveva vinto l’argento e Monica Contrafatto il bronzo. Una tripletta storica. Eppure, tra le lacrime, Ambra è già pronta a reagire e a prepararsi per Los Angeles. E Martina le ha dedicato la medaglia con parole straordinarie.

Mille storie di drammi e potenti lezioni di vita sottendono atleti e atlete che partecipano ai Giochi Paralimpici. Con famiglie che sanno stimolare e sostenere, e belle figure di allenatori e allenatrici che con squadre tecniche generose ed efficaci aiutano questi ragazzi e ragazze coraggiosi a far sbocciare ali inattese per far volare i loro sogni migliori.

In queste Paralimpiadi l’Italia ha brillato, più che a Tokio, con 24 ori e 71 medaglie complessive. Perché non facciamo dialogare alcuni di questi atleti con i nostri adolescenti, portandoli nelle scuole? Perché si continua in questa spaventosa deriva educativa e formativa, dove l’unico metodo è spianare ogni aspetto della vita, togliendo ogni mimino ostacolo, persino un’interrogazione o un voto, perché altrimenti i poveri allievi “si traumatizzano”? Il risultato è una generazione di ragazzi e ragazze incapaci di vivere, affetti da “disagio esistenziale”, perché dialogano con gli smartphone invece che con i genitori. Il disagio può diventare un alibi e perfino un’attenuante, anche in delitti atroci. Prendiamo invece esempio da questi atleti. «Per aspera ad astra», dicevano gli Antichi: attraverso le difficoltà, si arriva alle stelle. La vita chiede coraggio. Chiede fatica, sacrifici e impegno quotidiano. Chiede educazione alla responsabilità, capacità di accettare difficoltà, sconfitte e cadute, accesi dalla voglia di rialzarsi. Chiede il coraggio di mettersi in discussione. Basta disagio. Basta alibi.

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