BUENOS AIRES – Non passa la legge sulle pensioni, tornata in Parlamento dopo il veto del presidente Milei, mentre anziani e sindacati hanno programmato per la giornata di oggi, 11 settembre, una nuova marcia di protesta.

Per essere promulgata aveva bisogno dei due terzi dei voti in entrambe le Camere, pena l’impossibilità a essere ripresentata per un anno.

La legge 27.756, approvata da Camera dei Deputati e Senato a fine agosto, prevedeva la modifica del calcolo delle pensioni di anzianità, con un adeguamento per mitigare l’effetto dell’inflazione. Per capirci, oggi una minima arriva a malapena a 200 dollari al mese, il prezzo di un affitto di un monolocale in un quartiere medio di Buenos Aires.

La nuova normativa proponeva che le pensioni venissero aggiornate mensilmente in base agli ultimi dati disponibili sulla variazione dell’indice dei prezzi – come già avviene – ma anche che venissero riviste periodicamente in base alla variazione del Ripte (il salario medio), per consentire ai pensionati la possibilità di migliorare il reddito in contesti di crescita economica in cui i salari aumentano.

La legge prevedeva infine un ulteriore aumento dell’8,1 per cento, per sostenere le entrate dei pensionati, duramente colpite dal tasso di inflazione di gennaio, schizzato al 20,6 per cento rispetto al mese precedente. Questo aumento sarebbe stato retroattivo a partire da febbraio, ma il governo argentino aveva concesso solo il 12,5 per cento. Quell’8,1 per cento in più, quindi, avrebbe permesso di compensare il 20,6 per cento di perdita di potere d’acquisto.

Su un altro versante, la legge imponeva al governo un termine di sei mesi per pagate i debiti per le sentenze passate in giudicato su controversie legate a errori nel calcolo (circa 90mila persone sono coinvolte) e i debiti dello Stato nazionale con i fondi pensione provinciali di Córdoba, Buenos Aires, Chaco, Chubut, Entre Ríos, Formosa, La Pampa, Misiones, Neuquén, Santa Cruz, Santa Fe, Tierra del Fuego e Corrientes.

La questione dei fondi provinciali risale agli anni ’90, con un trasferimento di competenze da alcune Province allo Stato nazionale, e un contenzioso su una serie di contributi mai versati da Anses (l’ente pensioni).

La ragione per cui l’esecutivo si è opposto a questa parte della legge è che l’adempimento dei pagamenti significherebbe, per lo Stato, chiudere l’anno in deficit. Un problema finanziario e politico, per un governo che ritiene priorità assoluta il pareggio di bilancio.

Così, all’indomani dell’approvazione definitiva della legge, il presidente Milei non è stato a guardare. Il portavoce Manuel Adorni ha dichiarato nella conferenza stampa del mattino successivo che “tutto ciò che va contro i conti pubblici sarà sottoposto a veto” e ha scritto nelle sue reti sociali che “l’equilibrio fiscale non è negoziabile”.

Il governo aveva due opzioni: promulgare la legge o porre il veto, parziale o totale. Ha scelto la seconda, e nella forma più estremista e radicale. Il presidente Javier Milei ha così posto il veto totale alla legge, attraverso il decreto 782/2024, pubblicato lunedì 2 settembre sulla Gazzetta Ufficiale.

Due settimane fa, il 29 agosto, pensionati e organizzazioni sindacali hanno protestato davanti al Congresso e la risposta è stata una forte repressione, con lacrimogeni e gas al peperoncino, da parte della polizia.

Per oggi una parte dell’opposizione ha tentato di revocare il veto, raccogliendo voti anche nelle file degli alleati di governo, consapevoli che si tratta di un tema sensibile, perché ha un impatto sulla vita non solo degli anziani, ma anche delle loro famiglie, senza il cui sostegno i pensionati non potrebbero sopravvivere.

La manifestazione si svolge così in un clima di crescente tensione, con la ministra alla Sicurezza Patricia Bullrich che ha attivato il cosiddetto “protocollo antipicchetto”, misure eccezionali di polizia durante le proteste.

In Argentina, l’articolo 83 della Costituzione nazionale stabilisce che quando un progetto di legge viene respinto torna alla Camera di origine: il Congresso può insistere sulla sua formulazione originale durante l’anno in cui il progetto è stato restituito o l’anno successivo.

Per capirci, se tutti i legislatori sono presenti, sono necessari 172 voti per raggiungere i due terzi della Camera dei Deputati. Al Senato, invece, servono 48 voti. Se entrambe le Camere soddisfano questi requisiti, il potere esecutivo sarà obbligato a promulgare la legge, senza che il presidente possa porre nuovamente il veto.

Dal momento che in Argentina vige il bicameralismo perfetto, la legge era tornata alla Camera e, se avesse raggiunto il quorum necessario, avrebbe dovuto seguire la stessa procedura di revisione in Senato.

Ma dal momento che i voti necessari non sono stati raccolti, il veto resterà in vigore e il Congresso non potrà tornare sulla questione per almeno un anno.

Resta l’incognita di cosa succederà più tardi nelle strade intorno al Parlamento e, soprattutto, come sopravviveranno i pensionati al minimo che non possiedono altri redditi o il supporto familiare.

Traduzione di Francesca Capelli.