L’armonia dei suoni, il grigio, gli spostamenti e la sofferenza nelle sue ultime due pubblicazioni letterarie, L’Emigrante e Semplicità – le cui letture sono state affidate alle voci di Lisa Barbarossa e Rosaria Mazzarotta – si sono delicatamente materializzati nella sala del Co.As.It. a Carlton, lo scorso martedì, di fronte a un pubblico attento e appassionato.
Dopo i saluti di benvenuto del cultural programs manager Paolo Baracchi, Mary Marcuccio della Società Dante Alighieri di Melbourne ha introdotto la raccolta poetica de L’Emigrante in cui Coreno dà piena espressione del suo essere errante, del suo continuo vagare tra un passato che non torna più e un futuro che si avvicina, ma che appare sempre un po’ fumoso; le incertezze che si nascondono dietro un lungo viaggio, i ricordi che sono compagni inseparabili e le sere in cui “seduto su una stella”, il poeta vola “al paese natale per rivedere gli amici di una volta e giocare con loro all’ombra degli ulivi secolari, sopra le pietre, accanto al mare”. È la sua eterna pena, ma ritrova ogni volta “la luna australiana, consolatrice di tutti i cieli, di tutti i mari”.
Anche questa volta, Mariano Coreno si fa avvolgere dal suo stile ungarettiano con poesie brevi, ma incisive, in cui cerca sempre la dissoluzione della forma e l’essenzialità; rima baciata o alternata, e interi spazi bianchi.
Anche nella raccolta Semplicità – le cui pagine sono state presentate dalla giornalista de Il Globo, Benedetta Ferrara – sono evidenti le sue improvvise “illuminazioni”; come se ogni volta sia capace di cogliere l’attimo di ciò che sta osservando o contemplando.
Aleggiano ancora i ricordi, sua madre, la solitudine, la speranza, l’amore e il dolore: “Parole semplici la mia poesia, colori grigi, armonia di organetti, sofferenze di contadini, di spostamenti repentini”.
E ricorrente è anche la nostalgia: “Lentamente, svanisce come brina, sull’erba verde, il tempo della mia vita”.
Mariano Coreno scrive ormai da circa 60 anni ed emoziona la sua passione eterna per la poesia, lui che vagheggia tra cielo, erba e terra, mentre ancora indossa “la sua maschera d’emigrante” in cerca di nuove risposte.