SYDNEY  – Si è conclusa da poco la mostra itinerante Mosaic of Marks, Words, Material, un’esposizione-atelier sviluppata da Reggio Children che ha fatto tappa ad Adelaide, Sydney e Rockhampton, portando in Australia uno dei progetti pedagogici più innovativi al mondo.

La mostra ha trasformato tre città in luoghi di ricerca sul segno grafico e sul pensiero dei bambini, invitando adulti, educatori e famiglie a guardare il disegno non come prodotto estetico, ma come processo di conoscenza. La mostra nasce a Reggio Emilia, nelle scuole dell’infanzia conosciute in tutto il mondo per il Reggio Emilia Approach®, con una domanda semplice e rivoluzionaria: il disegno, diventato ormai un gesto abituale, rischia di non essere più visto?

Per indagare questa intuizione, gli educatori hanno messo a disposizione dei bambini superfici e strumenti non convenzionali: carte con finiture diverse, cartone corrugato, plastiche traslucide, materiali che reagiscono al segno in modi sorprendenti. Non si chiede “di fare un disegno”, non si indica un soggetto da copiare. Si esplora quello che succede quando uno strumento incontra una superficie e come questo incontro modifica il pensiero di chi lo usa. 
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l Reggio Emilia Approach® non è un metodo da applicare come una ricetta, ma piuttosto una filosofia educativa nata nel dopoguerra e basata su un’idea precisa: il bambino è un soggetto competente, già capace di costruire significato. Ruth Weinstein, membro del Consiglio di amministrazione di Reggio Emilia Australia, lo dice con chiarezza: “Il bambino non è un vaso vuoto da riempire. Reggio Emilia è una filosofia, un modo di lavorare con i bambini”.

È una frase semplice, ma ribalta la convinzione radicata che l’adulto sappia e il bambino segua. Qui accade l’opposto: il bambino conduce, l’adulto osserva. I pannelli esposti nella mostra raccontano ricerche reali condotte nelle scuole di Reggio Emilia: fotografie, trascrizioni delle conversazioni tra i bambini, tracce grafiche, annotazioni degli educatori.

Ogni pannello è un piccolo racconto dove si esplora come una linea cambia quando lo strumento scivola su una superficie lucida, si scopre che una carta ruvida “fa rumore”, si descrive l’inchiostro che “cade dentro come la pioggia”. L’obiettivo non è produrre un disegno “bello”, ma capire. Nel cuore dell’allestimento c’è l’atelier interattivo dove non si disegna, ma si invita a osservare cosa succede quando uno strumento incontra una certa superficie.

“È come ascoltare la carta”, il commento di una bambina. Parallelamente all’esposizione, gratuita e visitabile liberamente, Reggio Emilia Australia ha organizzato laboratori e masterclass per educatori, famiglie e studenti universitari, durante i quali di approfondisce ciò che accade nei pannelli, si impara a leggere la documentazione e discuterne la portata educativa. 

Durante le tappe australiane, la mostra ha funzionato come una piazza in cui famiglie, insegnanti o studenti provenienti dai centri educativi e atenei hanno attraversato le sale conversando, facendo domande, mettendo le mani sui materiali, passando da un pannello all’altro e seguendo le tracce del pensiero dei bambini. 

Un ‘anti-museo’ dove è consentito toccare, provare, sentire, con un pubblico che non è di semplici spettatori, ma una comunità temporanea di ricerca. Mosaic of Marks, Words, Material è una mostra itinerante che arriva dove esiste una comunità che la vuole accogliere. Ogni tappa si adatta al contesto e cambia forma attraverso le persone che la vivono.

Come ha chiarito Weinstein: “Non stiamo spuntando caselle. Cerchiamo idee, ipotesi e relazioni, n un processo di indagine continua guidato dalla curiosità.” In un tempo ossessionato dalla performance, questa mostra riporta al centro la lentezza e la meraviglia. “Se ti fermi davvero a guardarli, i bambini ti sorprendono. Sempre”, ha risposto Ruth Weinstein alla domanda su cosa la stupisca ancora, dopo quasi cinquant’anni di carriera.