DAMASCO – L’Esercito israeliano (Idf) ha annunciato che i suoi “caccia hanno colpito armi appartenenti al regime siriano nell’area della Siria meridionale”, in seguito ai razzi lanciati verso il territorio israeliano nella mattinata di martedì.
“Il regime siriano è responsabile dell’attuale situazione in Siria e continuerà a subirne le conseguenze finché continueranno le attività ostili dal suo territorio - si legge inoltre in un comunicato dell’IDF pubblicato su Telegram -. L’Idf opererà contro ogni minaccia allo Stato di Israele”. Il ministro della Difesa, Israel Katz, ha puntato il dito contro il nuovo leader di Damasco, Ahmad al-Sharaa (al Jolani), “direttamente responsabile di ogni minaccia e lancio di razzi contro lo Stato di Israele”. “La piena risposta arriverà presto”, ha minacciato Katz, aggiungendo che Israele “non permetterà un ritorno alla realtà del 7 ottobre”.
In precedenza l’Osservatorio siriano per i diritti umani aveva parlato di una serie di attacchi nel sud del Paese. “Violente esplosioni hanno scosso la Siria meridionale, tra cui la città di Quneitra e la regione di Daraa, a seguito di attacchi aerei israeliani”, aveva riportato la Ong, senza segnalare vittime.
Già martedì sera, l’Idf aveva reso noto di aver risposto con il fuoco di artiglieria al lancio di razzi dalla Siria meridionale. I due proiettili erano caduti in aree disabitate senza fare danni. L’allarme aereo era risuonato a Haspine e Ramat Magchimime, due città situate nelle alture meridionali del Golan, territorio conquistato da Israele nel 1967 e annesso nel 1981.
Da parte sua, il ministero degli Esteri siriano aveva affermato di “non aver rappresentato e non rappresenterà una minaccia per nessuna parte nella regione” e di impegnarsi a contenere gli attori non statali armati nella Siria meridionale. La dichiarazione era seguita all’annuncio da parte di Israele dei due razzi lanciati dalla Siria.
Intanto, gli Stati Uniti hanno accettato che il governo siriano integri nel nuovo Esercito nazionale migliaia di combattenti jihadisti stranieri, per lo più cinesi uiguri e di Paesi centro-asiatici.
L’inviato Usa in Siria e ambasciatore americano in Turchia, Thomas Barrack, ha risposto affermativamente a una domande dei giornalisti durante la sua visita nei giorni scorsi a Damasco: “Direi che c’è un accordo (tra gli Usa e il governo siriano) perché ciò avvenga con trasparenza”.
Si tratta di un tema molto controverso considerando il fatto che circa 3.500 miliziani non siriani sono giunti in Siria durante la guerra civile ancora in corso all’interno di un progetto jihadista internazionale. Molti di loro, membri del Partito islamico del Turkestan, sono uiguri ostili al governo cinese.
Secondo i media di Damasco, il nuovo ministero della Difesa siriano, guidato da un fedelissimo di Sharaa, per anni a capo di una coalizione armata di ispirazione qaidista, ha confermato che in forza del piano di integrazione in corso questi 3.500 miliziani andranno a formare un’intera divisione dell’Esercito regolare siriano, l’84ma, costituita anche da combattenti siriani.