Mi incammino in corridoi stretti, tra telai protetti da involucri di plastica e cartone, mi fanno silenziosamente strada verso un laboratorio che esplode di colori. Ad accogliermi, il profumo dei pennelli consumati, il disordine che dà vita all’ispirazione creativa, il suo sorriso ospitale.

Mi riceve nel suo studio d’arte a Northcote, Liliana Barbieri, alle sue spalle già venticinque anni di carriera e centinaia di opere che hanno trovato spazio in gallerie, musei e collezioni private in Australia e nel mondo – da Pechino a New York, da Londra alla Corea del Sud e, naturalmente, in Italia.

Mi fa immediatamente dono di alcune delicate farfalle dipinte e ritagliate a mano, che si muovono al minimo soffio d’aria. “Sono per tuo figlio, per farlo giocare”, mi dice sorridendo. L’elegante lepidottero rappresenta per lei quella sintesi perfetta di fragilità e forza, libertà e metamorfosi, perché “le farfalle, proprio come le persone, hanno la capacità di migrare oltre i confini delineati dalla storia”.

Ancora oggi, Liliana Barbieri non si stanca di rincorrere il suo viaggio di scoperta artistica e personale, lasciandosi guidare dalle sfumature della sua memoria storica e culturale. Continua a sfidare le percezioni e a creare quella connessione speciale tra il tangibile e l’intangibile, “attratta dall’entusiasmo delle possibilità, dai concetti di tempo, bellezza e nostalgia”.

Il filo della sua storia ci riporta fino a Ripa Teatina, in provincia di Chieti, in Abruzzo, dove nacquero i suoi genitori, Elvira e Nicola Di Lizio, appartenenti a due differenti famiglie ma straordinariamente uniti dallo stesso cognome. Nel 1954 suo padre si sentì costretto a lasciare quella piccola cittadina in collina, poco distante dal mare, per raggiungere l’esotica Australia che, seppur così lontana, offriva il sogno di una vita più serena.

“Il fronte della Seconda guerra mondiale, a un certo punto, era proprio nel nostro paesino e la casa di mia madre fu trasformata in una sede militare dall’esercito tedesco. Fu completamente distrutta; fu un periodo molto triste – mi racconta –. Io sono nata dopo, ma ho sempre ascoltato le storie di mia nonna e di mia madre. Mio padre, invece, non voleva parlarne. Avrà visto cose che voleva dimenticare”.

Infaticabile lavoratore, suo padre riuscì in dieci mesi a risparmiare abbastanza per pagare il viaggio anche al resto della famiglia. Barbieri aveva soltanto tre anni quando partì da Napoli insieme a sua madre sulla nave ‘SS Sydney’ in direzione Melbourne Station Pier.

“Alla fermata a Colombo, in Sri Lanka, ricordo lo stupore dei passeggeri nel vedere alcune persone ‘dalla pelle scura’, così dicevano – racconta –. Era tutto così diverso per me, ma sono sempre stata una bambina curiosa e ho fatto amicizia con tutti, quindi non ricordo di aver avuto alcun problema durante il viaggio. A quanto pare, l’equipaggio si prese cura di me e mi portava in giro per la nave prendendomi per mano, perché mia mamma soffrì di un fortissimo mal di mare”.

Figlia unica fino all’età di quindici anni – quando nacque sua sorella –, nonostante il disordine del cambiamento e la confusione di una nuova esistenza, Barbieri ha sempre ammirato la costanza dei suoi genitori nel rincorrere il sogno di successo in una terra straniera. 

Liliana Barbieri da bambina insieme ai genitori nella loro prima casa acquistata a Brunswick nel 1958

“La determinazione di mia madre, poi, è sempre stata fonte di ispirazione – continua –. Dopo tre giorni dall’arrivo a Melbourne, salì su un tram verso Flinders Lane  – che a metà degli anni ’50 era il centro del commercio dei tessuti – e trovò fortuna alla terza porta a cui bussò. Fu scortata a una macchina da cucire e le fu chiesto di assemblare un completo. Fu assunta immediatamente. Quando tornò alla nostra pensione a Brunswick, era esultante all’idea che avrebbe ricevuto una busta paga alla fine di ogni settimana”.

Ma come altre centinaia di migliaia di connazionali, anche Barbieri fu costretta a fare i conti con tutto ciò che era nuovo. “Non parlavo l’inglese e a scuola i bambini ridevano di me – ricorda –. Quelle reazioni credo abbiano tirato fuori la mia caparbietà e, in pochissimo tempo, ho imparato la nuova lingua e, già all’età di sei anni, facevo da interprete alle donne della mia famiglia durante le commissioni della vita quotidiana”.

“Ma a casa si continuava a parlare l’italiano, mia nonna era veramente una donna formidabile e parlava in ritornelli, le sue storie risuonavano come poesie – continua l’artista –. Anche mio nonno era una sorta di cantastorie, ci raccontava delle sue storie di guerra, durante il primo conflitto mondiale. Aveva anche fatto da assistente a un medico di campo durante numerose operazioni chirurgiche che all’epoca si subivano con un unico bicchierino di whisky!”.

Ormai stabili nel nuovo continente – sua madre sarta a tempo pieno e suo padre costruttore avviato –, all’età di dodici anni, Barbieri ricorda così vivamente il viaggio di ritorno nella sua Italia, una vacanza lunga sei mesi che la portò a riscoprire quell’Abruzzo che inevitabilmente stava dimenticando, e poi ancora il Lazio e il resto del Belpaese. In particolare, a Roma, dove abitava una zia, sentì per la prima volta la scintilla dell’arte – il Foro, il Colosseo, i Musei Vaticani, l’eterna eredità di Michelangelo nella Cappella Sistina “lasciarono una forte impronta nella mia memoria”, come un inscindibile sigillo.

“Ho sempre amato disegnare e, una volta terminate le scuole superiori, avrei voluto intraprendere il percorso artistico, ma i miei genitori non vedevano futuro in una carriera tra cavalletti e pennelli”, racconta.

Una foto del 1956, insieme ai suoi genitori, durante un dinner dance al locale Mokambo a Carlton

Nonostante il seme creativo non si fosse di certo spento, Barbieri decise quindi di inseguire il desiderio di avventura e l’interesse per i viaggi. Fu presto assunta come personale di terra nella compagnia di bandiera italiana Alitalia, ma i continui corsi di aggiornamento nella Città eterna la spinsero più volte a riscoprire le linee perfette dei grandi maestri dell’arte italiana. 

Dopo il matrimonio con un ragazzo italiano immigrato in Australia, due bambini e una seconda carriera professionale nella compagnia Continental Airlines, Barbieri trovò finalmente il suo kosmos di idee, di dibattiti culturali e nuove espressioni. All’età di quarantadue anni, dopo aver ricevuto un’ottima liquidazione dalla compagnia aerea che aveva ormai chiuso i battenti, si iscrisse all’università RMIT a Melbourne.

“La mia famiglia ha messo in dubbio la mia sanità mentale quando ho annunciato che ero decisa a intraprendere una carriera nelle belle arti! – ricorda ridendo –. Ho abbandonato il settore aziendale quando avevo già due figli adolescenti, un marito e un mutuo da pagare. Ho iniziato a studiare a tempo pieno, facevo l’agente di viaggio di sera e studiavo da mezzanotte alle due del mattino. Non credo di aver mai sentito il peso della stanchezza; adoravo la vita universitaria, era un mondo pieno di possibilità”.

Dopo la laurea triennale in Belle Arti e un master, Barbieri ottenne anche un dottorato di ricerca stipendiato sull’arte rinascimentale: “All’università le mie idee sono state accolte e sviluppate. E credo che la decisione di inseguire il mio sogno abbia in un certo senso cambiato in meglio anche la cultura familiare in cui sono cresciuta”.

La pittura poi, coltivata nei fine settimana con un maestro privato, diventò ben presto una professione. Quell’urgenza profonda, repressa per decenni, si trasformò in un’esplosione di emozioni e in un primo progetto artistico, In memoria, dedicato a tutte le donne della storia che hanno subìto violenza. Lastre rosse, nomi incisi con un bianco incandescente: un grido visivo e un esordio già potente.

Grazie alla forza dei colori e alla vigoria di un pennello, con il passare del tempo, Liliana Barbieri ha potuto finalmente inseguire quell’identità culturale e storica che non aveva mai veramente approfondito.

Le sue opere, esposte in tutto il mondo, sono infatti giunte anche nella sua Abruzzo, “tra i momenti più intensi della mia carriera”, in mostra con il progetto Via Vai – Arte in Valigia al Castello Ducale di Palena e alla Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila. Si era forse chiuso un cerchio.

“Ricordo che quando terminai l’università dopo sei anni, mia madre mi disse sconvolta: ‘Ma ti rendi conto che in tutto questo tempo saresti potuta diventare un medico?!’ – racconta ridendo –. Mi ha sempre stupito, poi, che i miei genitori fossero loro stessi dei creativi. Mia mamma, in particolare, cuciva tutto a mano perfettamente, abbinava meravigliosamente i colori di un abito, aveva un baule che riempiva di pezzettini di stoffe dai colori brillanti. Ispirata a quel ricordo, ho realizzato anche una personale con la mia tecnica di graffite sull’acrilico: era un muro intero di forbici dalle forme differenti. C’erano anche quelle che mio padre usava per tagliare le viti e quelle da sarta di mia madre”.

Liliana Barbieri nel suo laboratorio d’arte a Northcote

Oltre a insegnare dipinto e teoria dell’arte per lungo tempo, Barbieri non ha mai smesso di cercare l’ispirazione creativa anche nella semplice e preziosa vita quotidiana – “Oggi lo sguardo dei miei nipotini, alla continua scoperta del mondo, accendono in me una scintilla”, afferma commossa – oppure di rincorrere quel momento sospeso che solo la tela sa donarle.

Focalizzata sul suo nuovo progetto Echoes of Time and Nature – opere su larga scala realizzate su carta da parati, con foglie, fiori ed erbe raccolti nel giardino della madre, che diventano testimonianza della migrazione e dell’adattamento culturale –, Barbieri è convinta che ciò che a volte appare erbaccia può invece diventare simbolo di resilienza e custode di tradizioni lontane.

“È una riflessione sulla cultura che evolve e appartiene a chi la vive – spiega –, ma devi sempre trovare uno spazio per esistere senza pregiudizi, presupposti o pressioni. È lì che io dipingo, che vivo davvero”.