ADELAIDE - Simone Marino è docente di sociologia, antropologia e italiano presso la University of South Australia e Ricercatore Associato presso la University of Western Australia. È inoltre ricercatore onorario di ACIS, l’Australasian Centre for Italian Studies.
“Ho anche altre identità – racconta –, sono un musicista e un emigrato in Australia e, da un anno, sono anche papà di Nino”. Marino è sposato con Keiko, un ragazza giapponese ma è nato a Roma nel 1977 ed è in Australia da undici anni. Fin da subito, praticamente, ha iniziato a studiare la comunità italiana di Adelaide, soprattutto attraverso una lente antropologica.
Più di recente, da circa tre anni, Simone ha sviluppato il quadro teorico e metodologico di un nuovo progetto, supervisionato e in collaborazione con la professoressa Loretta Baldassar, direttrice di SAGE (Social Care and Ageing Living Lab) della University of Western Australian, a Perth. Tale studio è incentrato sull’invecchiamento e la demenza, e mira a comprendere meglio il ruolo della musica e del linguaggio d’origine, in particolare l’italiano, “nel rafforzare l’identità, l’appartenenza e il benessere delle persone più anziane che vivono con demenza ad Adelaide”.
Il suo attuale progetto di ricerca è supportato da ACIS. Finora la demenza è stata affrontata da un punto di vista medico, al massimo attraverso la musicoterapia; Simone Marino sta affrontando il discorso da un punto di vista antropologico, al fine di comporre, dopo una serie di colloqui con le varie persone che partecipano al suo studio, “una canzone personalizzata, culturalmente adatta, su misura”.
Il vissuto della persona viene ampiamante enfatizzato, quindi, per usare le parole del filosofo francese Paul Ricoeur, che sosteneva che sia l’identità collettiva che quella individuale non sono concepibili senza memoria. “Per questo sto studiando l’importanza delle storie autobiografiche – prosegue –, concentrandomi sull’anamnesi dell’individuo, sugli eventi passati che rimangono significativi, allo scopo di restituire la memoria e convalidare l’identità”.
Come dire, Simone Marino cerca di creare la colonna sonora del vissuto della persona, con l’obiettivo di creare un “paesaggio sonoro” che abbia un significato per i partecipanti allo studio e che contenga i loro ricordi più rilevanti.
“Sappiamo infatti che la parte del cervello relativa alla musica e ai ricordi passati rimane relativamente attiva nelle persone che vivono con demenza avanzata”, spiega Marino e il suo studio sta dimostrando che la co-creazione di canzoni culturalmente su misura, composte e cantate con i partecipanti e nella loro lingua, contribuisce al benessere generale, in particolare per coloro provenienti da contesti emigratori e che vivono con demenza. Simone Marino sta quindi sviluppando una teoria complessa a dimostrazione che il sistema ha un duplice vantaggio: dà nuovo valore alla pratica della narrazione offrendo all’individuo la possibilità di ricordare e narrare la sua storia, “restaurando, come si dice in atropologia e sociologia – aggiunge Simone – la sua capacità di reagire”.
Attraverso la condivisione della propria storia, quindi, la persona recupera parte della propria identità, appartenenza e dignità e nella canzone che ne scatursice vengono inserite le parole ricorrenti e gli eventi ripetuti della narrazione. Le persone con cui Simone Marino lavora e che partecipano allo studio sono tutte di origine italiana, hanno tra gli ottanta e i novant’anni e sono affetti da demenza, di diversa gravità. Il ricercatore si incontra con loro settimanalmente per dieci incontri, sia a domicilio che in casa di cura, e verso la metà del percorso, quando Simone ha raccolto le loro memorie, inzia la composizione della canzone, nel testo e nella musica. Quando per varie ragioni non è possibile un’interazione diretta vengono coinvolti i familiari, in particolare i figli: “L’idea mi è venuta leggendo delle esperienze degli emigrati più anziani italiani ad Adelaide affetti da demenza”, prosegue Simone Marino, che ha notato una scarsità di servizi, soprattutto in termini di interdisciplinarità, elemento comune invece all’approccio antropologico.
L’interesse di Simone nasce da un’esperienza personale in particolare, racconta, vissuta con il nonno materno, Nino (come il figlio, ndr): “Mio nonno ha combattuto nella Seconda Guerra Mondiale – spiega – e ha vissuto fino a 103 anni, di cui gli ultimi sei con demenza. La sua memoria a breve termine era completamente annullata, il suo sguardo era perso nel vuoto, spesso non riconosceva i familiari ma se gli si chiedeva di raccontare qualcosa riguardante gli anni passati al fronte, si riaccendeva e riempiva la sua narrazione di minuziosi particolari e nomi”. Inoltre, il nonno Nino, non solo amava narrare ma anche cantare, da qui l’idea di mettere in musica e parole una canzone che lo rappresentasse, una rievocazione del potere della narrazione unito a quello della canzone, per creare senso, sollievo, benessere e serenità.
Nelle canzoni personalizzate vengono quindi inseriti i concetti ricorrenti delle narrazioni raccolte: i migliori amici, il paese di origine, i familiari, i primi amori, le percezioni sensoriali, gli odori, i suoni, i colori, il viaggio per arrivare in Australia.
Simone Marino già in passato ha pubblicato degli studi da cui emerge che la musica rappresenta un ausilio per recuperare la propria identità e memoria etnica, e lo studio attuale ne rappresenta un proseguimento innovativo: il progetto che Simone ha chiamato Comusichiamo, un neologismo che evoca la comunicazione e il fare musica insieme.
Non va quindi inteso come trattamento della demenza a scopo terapeutico, al contrario, è inteso come supporto alle altre cure già esistenti, un intervento antropologico, in una sinergia che finora ha dato buoni risultati. Comusichiamo fa quindi leva sulla reminiscenza e utilizza la capacità, che molte delle persone con cui Simone ha lavorato ancora hanno, di ricordare eventi accaduti molto tempo fa, anche quando la memoria a breve termine ormai non c’è più. In antropologia si parla di reminiscence bump: per le persone con demenza e fino a che la malattia non è troppo avanzata, i ricordi del passato di solito rimangono molto vividi e spesso possono essere richiamati abbastanza facilmente con l’uso di alcuni semplici fattori scatenanti. “Per esempio, gli anziani tendono ad accedere a ricordi più personali tra circa i dieci e i trent’anni di età”, spiega Simone che, per questo, stimola durante le conversaiozni con i partecipanti al progetto la loro memoria storica: “una pratica che concorre a migliorare il loro umore e a stimolare una conversazione più ampia”.
“Tra l’altro – continua lo studioso –, alcuni articoli accademici suggeriscono che stimolare la memoria a lungo termine può migliorare la memoria a breve termine, aumentare l’autostima e il coinvolgimento delle persone con demenza”.
Lo scorso 17 giugno Simone Marino ha tenuto un concerto di musica italiana presso la casa di cura Bene Aged Care per ringraziare alcuni dei partecipanti alla sua ricerca. Non appena i risultati definitivi del suo studio saranno pubblicati non mancheremo di aggiornare i nostri lettori.