Io stesso ho trovato che il rancore ed il risentimento possono addirittura generare una qualche forma di disturbo mentale tipo lo stress, l’ansia, la depressione e, soprattutto, la rabbia.
Infatti, pare che la rabbia cronica abbia un impatto veramente negativo sulla nostra salute fisica e mentale aumentando la nostra reattività allo stress e rendendoci più disposti a sviluppare varie malattie fisiche, soprattutto quelle cardiovascolari.
Generalmente parlando, noi psicologi definiamo il perdono come ‘decisione cosciente ed intenzionale di liberarci da vissuti di risentimento o di vendetta verso una o più persone che ci ha/hanno recato qualche tipo di danno o fatto qualche tipo di torto, indipendentemente dal fatto che se lo meritino’.
Perdonare non vuol dire diventare d’un colpo molto amico della persona che ti ha danneggiato. Inoltre, non vuol dire che il torto subito non sia stato importante.
Non vuol dire neanche che si debba accettare ad ogni costo la persona che ha fatto il torto.
Perdonare vuol dire, invece, accettare quello che è successo senza cercare di cambiarlo nella nostra mente.
Perdonare vuol dire il lasciar perdere quello che ti è stato ingiustamente fatto soppiantando il vissuto di rancore e di risentimento con un più sano vissuto di compassione.
Tanti considerano il perdonare come prova di debolezza. Ciò non è vero perché il perdonare richiede invece tanta forza.
Non sono una persona rigidamente praticante della mia religione cattolica, però spesso trovo in tanti suoi insegnamenti spunti davvero illuminanti per la mia filosofia di vita.
Prendete, cari lettori, ad esempio l’immagine di Gesù Cristo crocefisso che dall’alto della sua croce e rivolgendosi a Dio chiede perdono per i soldati sottostanti che lo stanno crocifiggendo, dicendo “Padre perdonali, non sanno ciò che fanno”.
Trovo in questa scena molta saggezza e molta compassione. La posizione stessa del Cristo in croce in questa scena lo pone al di sopra dei suoi uccisori.
Ricordo di aver letto in passato un aforisma che mi ha tanto colpito; non ne ricordo le parole esatte ma il senso era il seguente: “la compassione (o la pietà) è la peggiore delle condanne”.
Se ci fate caso, cari lettori, bisogna essere infatti davvero forti per ergersi al di sopra del torto subito e lasciare agli altri o al destino (o al Karma, direbbe qualcuno) la giusta retribuzione per il danno arrecato.
Certo, vorremmo tutti che la persona che ci ha danneggiato o offeso si ravvedesse e si pentisse, ma ciò non sempre avviene.
Dobbiamo, invece, comprendere che, se perdoniamo, lo facciamo per il nostro beneficio e non necessariamente per il beneficio della persona che ci ha fatto il torto.
Perdonare, come vedete, vuol dire liberarsi, ergersi al di sopra della meschinità altrui, allontanarsi lasciando che la Giustizia faccia eventualmente il suo corso.
Io, cari lettori, ho imparato a fare proprio ciò memore del fatto che, finché rimango nella posizione del rancore e del risentimento mi abbruttisco dentro e perpetuo in qualche modo un rapporto di inter-dipendenza con chi mi ha fatto il torto che mi fa soltanto male e che non mi aiuta a crescere ed andare avanti.
In tal senso, perdonare vuol dire anche il non aver bisogno.