WASHINGTON – Linea durissima sui migranti, nessuno sconto sui deportati senza alcun motivo dagli Stati Uniti in El Salvador. Il presidente salvadoregno Nayib Bukele, ormai il più stretto alleato della Casa Bianca in materia di immigrazione, è andato a Washington a ribadire la posizione sua e di Donald Trump.
Sono centinaia i migranti trasferiti in manette in El Salvador, con l’accusa di appartenere a bande armate. Ma al centro di una tempesta giudiziaria c’è Kilmar Abrego Garcia, il salvadoregno di 29 anni che viveva legalmente nel Maryland con moglie e tre figli, e protezione umanitaria per rischio di persecuzione.
Trump ha dovuto ammettere che si è trattato di un errore burocratico, e un giudice federale ha ingiunto all’amministrazione Usa di impegnarsi per fare rientrare negli Usa Garcia. Bukele, però, non ha intenzione di liberarlo. “Come potrei contrabbandare un terrorista negli Stati Uniti? – ha detto –. Non ne ho il potere”. E neppure vuole liberarlo in El Salvador: “Non mi piace scarcerare i terroristi”.
Nel suo incontro allo Studio Ovale con Trump, Bukele ha inoltre elogiato la linea dura del Presidente su immigrazione, criminalità e identità di genere, ed è tra i suoi alleati chiave nella controversa spinta a deportare gli immigrati illegali in una famigerata prigione salvadoregna.
A detta di Trump, Bukele sta facendo “un lavoro fantastico” nel reprimere le gang criminali del suo Paese e nel collaborare con gli Usa in questo programma. In questo contesto, che non ci sia alcuna prova di atti di terrorismo da parte di Abrego Garcia, non pare rilevante.
Trump, da parte sua, alla domanda su quanti presunti “migranti criminali” intenda deportare ha detto “il più possibile” e ha suggerito che potrebbe aiutare El Salvador a costruire altre prigioni come la tristemente famosa Cecot, dove i deportati sono stati inviati