MILANO - La disoccupazione è uno degli elementi che secondo tutti i maggiori esperti di criminalità organizzata favorisce l’infiltrazione di clan mafiosi nei territori. Sulla crescita e la diffusione del disagio sociale che la disoccupazione alimenta la mafia infatti prospera e cresce, sfruttando la regressione dello Stato per inserirsi e sostituirlo.
Una sostituzione che oltre alle regioni in cui la presenza mafiosa è un peso storico, si è attuata negli ultimi trent’anni anche nel Nord Italia e nel resto d’Europa. Tra le organizzazioni criminali presenti nella Penisola, quella che più di tutte ha ramificazioni e fa affari al di fuori del proprio territorio è la ‘ndrangheta che, secondo le statistiche del centro di ricerca Transcrime, ha solo il 23% del suo giro d’affari, stimato tra i 3 e i 4 miliardi all’anno, nel territorio calabrese. Per le altre organizzazioni, invece, come la Camorra e Cosa nostra, provengono da Campania e in Sicilia almeno il 60% degli introiti.
È per questo che la scorsa settimana la Banca d’Italia ha rilasciato uno studio volto ad analizzare quale è stato l’impatto della ‘ndrangheta sul Nord Italia dal 1971 al 2011, quarant’anni in cui le ‘ndrine hanno concentrato i loro affari su un territorio che in passato era considerato immune al fenomeno mafioso e che invece è ormai attestato come sia da quarant’anni anch’esso profondamente inquinato, con conseguenze molto gravi per la salute della propria economia. L’analisi “Gli effetti reali della ‘ndrangheta sull’economia reale: evidenze a livello d’impresa”, prodotta dai ricercatori di Bankitalia Litterio Mirenda, Sauro Mocetti and Lucia Rizzica, arriva a tre desolanti conclusioni.
Innanzitutto, è accertato che la ‘ndrangheta finisce per prosciugare la ricchezza e il benessere dei territori nei quali si infiltra, distorcendo la loro economia impattando anche sulla politica locale, corrompendola e manipolandola. Il dato che più di tutti evidenzia questo impoverimento è quello dell’occupazione, che nei territori produttivi del Nord dove la ‘ndrangheta si è inserita stabilmente, è crollata in quaranta anni del 28%.
Una delle evidenze riscontrate è poi quella che le ‘ndrine hanno una particolare propensione ad attaccare i punti deboli di un territorio, tendono a infiltrarsi in imprese che hanno difficoltà finanziarie e in settori che dipendono maggiormente dalla domanda del settore pubblico oppure in cui è più diffuso il riciclaggio di denaro. 
L’infiltrazione, spiega lo studio, inizialmente genera un incremento nei ricavi delle aziende. Forse anche perché una parte dei ricavi maschera il riciclaggio. Ma, è la terza conclusione, nel lungo termine ci sono effetti negativi sulla crescita economica a livello locale e di conseguenza sull’occupazione. L’ingresso della mafia aumenta i ricavi delle aziende facendo crescere il numero di impiegati ma non gli investimenti: le imprese corrotte hanno una maggiore probabilità di uscire dal mercato, non è chiaro se per via volontaria o per decisioni di carattere giudiziario. Il peggio succede se la mafia si inserisce nel mercato per fare profitto e investimenti, falsando il gioco della concorrenza e costringendo i competitors a chiudere: in questo caso, l’impatto negativo è maggiore.