MILANO – C’erano gli scioperi dei minatori inglesi contro le politiche ultraliberiste di Margaret Thatcher. C’era la reaganomics (la politica economica di Ronald Reagan), poi travolta dall’inflazione. C’era la guerra delle Malvinas (o Falkland), tra Argentina e Gran Bretagna.
Così erano iniziati gli anni ’80. Con gli shock petroliferi della rivoluzione iraniana, le dittature latinoamericane. L’assassinio di Piersanti Mattarella a opera della mafia, la strage di Bologna e quella di Ustica. La paura di un’escalation nucleare.
Poi, esattamente a metà della decade, un evento ha fatto la storia del rock. Anzi, “la storia”. È il Live Aid, il megaconcerto benefico organizzato da Bob Geldof e Midge Ure per raccogliere fondi in aiuto dell’Etiopia colpita dalla carestia.
Era il 13 luglio 1985, esattamente 40 anni fa, quando – per 16 ore ininterrotte di musica – oltre 70 artisti si sono esibiti su un palco a Londra e uno a Philadelphia, con 16 satelliti per una trasmissione globale e oltre il 90% delle televisioni di tutto il mondo collegate.
Un programma stellare di big dell’epoca, tra Paul McCartney, i Queen, David Bowie, Led Zeppelin, Sting, Madonna, U2, Dire Straits, Wham! e tanti altri.
In occasione di questo anniversario è uscito il libro Live Aid: Il suono di un’era. Gli anni Ottanta e il sogno di un mondo migliore (Tsunami Edizioni), un viaggio appassionato e documentato dentro il cuore degli anni ’80.

La copertina del libro.
L’autore Gabriele Medeot, storyteller in ambito musicale e musicista professionista, quel giorno compiva 14 anni.
“Suonavo il piano ed ero appassionato di tecnologia – ricorda –. Avevo un Commodore e programmavo suoni in Basics, linguaggio dell’epoca. Sapevo che il mio futuro sarebbe stato nella musica. Quel concerto mi ha fatto capire che la mia strada era tracciata”.
Ed è da qui che parte, dal ricordo del concerto visto alla Tv, per spiegare la centralità di quell’episodio per la sua generazione.
“E non solo – aggiunge –. Oggi, quando vado nelle scuole e cito quelle canzoni a ragazzi nati intorno al 2010, scopro che le conoscono tutte”.
Il Live Aid fu una reazione a catena. “Quando negli Usa si resero della potenza di quell’iniziativa, molti artisti decisero di muoversi nella stessa direzione – ricorda Medeot –. Non senza polemiche”.
Harry Belafonte convocò Lionel Richie lamentandosi che il gruppo del Live Aid era nato da “bianchi che vogliono salvare i neri”. La polemica finì con accuse di razzismo a Bob Geldof e la formazione del collettivo Usa for Africa, che incise We are the world, con una forte presenza di afroamericani: oltre a Belafonte e Richie, c’erano Michael Jackson e Quincy Jones, Barry White, Stevie Wonder, Tina Turner, Diana Ross…
Cosa resta di quell’evento, a distanza di 40 anni? Gabriele non ha dubbi: “Il Live Aid è stato un esempio di determinazione, della volontà di fare qualcosa per aiutare gli altri”.

Gabriele Medeot.
Lasciando l’ego nel camerino. Elvis Costello cantò All you need is love, anziché una propria canzone, perché gli sembrò la scelta più indicata. David Bowie rinunciò a 4 minuti di esibizione per permettere la proiezione di un video sulle condizioni dei bambini etiopi.
“Se c’è un libro sul Live Aid, se siamo qui a parlarne, significa che qualche seme è stato gettato, quel 13 luglio 1985 – riflette –. Peccato che non abbiamo saputo coltivarlo”.
Una constatazione, non una resa. E nemmeno una buona ragione per smettere di credere nella forza di trasformazione dell’arte.
“La musica insegna a stare insieme, ad ascoltare, a fare analisi critiche sul presente”, conclude Medeot. Sicuro che l’eco di quel concerto non si è mai spento. Che basta chiudere gli occhi per sentire di nuovo quelle note. Per ritrovare dentro di noi un 14enne con la voglia di cambiare il mondo.
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