Un evento storico, irripetibile, costruito anche con qualcosa di più di un pizzico di follia, che ha raccolto 150 milioni di dollari per le vittime della carestia in Etiopia e ha distrutto la carriera del suo ideatore, Bob Geldof. Live Aid compie quarant’anni e c’è da chiedersi se la Generazione Z e quella di chi è convinto che la musica sia un insieme di singoli da mettere in una playlist sappiano di cosa si tratti. Nel 1985 i cd erano usciti sul mercato da tre anni e per capire che tipo di difficoltà tecnica sia stata affrontata basta guardare la forma e le dimensioni delle telecamere di quegli anni. All’epoca Geldof era ancora il leader dei Boomtown Rats, una band irlandese che nei primi anni della New Wave aveva avuto un buon successo. Dopo Live Aid la carriera musicale di Geldof si è esaurita; nel frattempo però Geldof, per i meriti raccolti nell’ambito della beneficenza, è diventato Sir.

A Live Aid, che in 16 ore di diretta allestita utilizzando 16 satelliti (40 anni fa i satelliti erano costosissimi e avevano orari limitati ma non dipendevano dalle bizze di Elon Musk) fu seguito da due miliardi di persone, divisi tra il palco dello stadio Wembley a Londra e quello del JFK Stadium di Philadelphia, parteciparono, tra gli altri, Paul McCartney, Bob Dylan, gli U2, i Led Zeppelin, Madonna, Ozzy Osbourne e i Black Sabbath, Elton John, Crosby, Stills, Nash & Young, Mick Jagger e Tina Turner. Musicalmente i trionfatori furono i Queen che suonarono di pomeriggio a Londra. Freddie Mercury e i Queen tennero una delle performance più iconiche della storia del rock. Durata 20’, con un medley tra Bohemian Rhapsody, Radio Ga Ga, We Will Rock You e We Are the Champions. La folla rispose battendo le mani a tempo: un momento epico noto come il “Radio Ga Ga Clap”. Fu votata la migliore performance live di tutti i tempi in diversi sondaggi successivi.

Il premio Stakanov lo vinse Phil Collins che si esibì a Londra, poi prese il Concorde (e già all’epoca era il simbolo delle sorti progressive dell’ingegneria aerospaziale), arrivò a Philadelphia dove cantò, prendendo una stecca clamorosa al pianoforte, Against All Odds, e poi fece una pessima figura suonando la batteria con quei tipacci dei riformati per l’occasione Led Zeppelin: la performance andò così male che Jimmy Page non solo non concesse la liberatoria per la pubblicazione sul disco e il dvd, ma poi parlò malissimo della prestazione di Collins che ancora oggi ha segnato Page al primo posto della lista dei suoi nemici del rock.

Il premio per la performance più sgangherata e improbabile è andato a Dylan con gli Stones Ron Wood e Keith Richards, saliti sul palco con livelli che avrebbero fuso un etilometro. Racconta Wood che lui fu chiamato da Dylan per “un concerto di beneficenza” e poi convinsero Richards, che commentò “speriamo che non si tratti di una cavolata”. Provarono molti brani del repertorio del premio Nobel. A Philadelphia, dopo un viaggio improbabile, sul palco Dylan decise di suonare Blowin’ In The Wind che non avevano provato: come se non bastasse a Dylan si ruppe una corda della chitarra, Wood gli passò la sua e rimase senza strumento mimando le mosse (si chiama Air Guitar): poi dal backstage gli passarono una chitarra, completamente scordata. McCartney, invece, per i primi 2’ di Let It Be si ritrovò col microfono staccato e nessuno, né allo stadio né a casa sentì una nota: nell’edizione di 20 anni dopo in Dvd la traccia del microfono e del pianoforte sono state rimasterizzate utilizzando quelle originali inizialmente poco udibili ma passate per il mixer. Tra le stecche più famose c’è anche quella dello specialista Simon LeBon con i Duran Duran. Madonna, all’esordio come regina del pop, disse “non mi svesto oggi, i miei genitori stanno guardando”, un riferimento ironico ai gossip sul suo stile provocante.

Ritornando al concerto di Wembley, band di apertura furono gli Status Quo con Rockin’ All Over the World. Poi, via via. tutti gli altri: Style Council, Boomtown Rats, Adam Ant, Ultravox, Spandau Ballet, Elvis Costello, Nik Kershaw, Sade, Sting & Phil Collins, Howard Jones, Bryan Ferry con David Gilmour dei Pink Floyd alla chitarra, Paul Young, U2, Dire Straits, Queen, David Bowie, The Who, Elton John con Kiki Dee e Wham!, Paul McCartney.

Oltreoceano, a Philadelphia, ad aprire le danze toccò a Bernard Watson, uno sconosciuto selezionato all’ultimo minuto, poi arrivarono le esibizioni di Joan Baez, The Hooters, Four Tops, Crosby, Stills, Nash & Young, Judas Priest, Bryan Adams, Run-D.M.C., REO Speedwagon, Tom Petty and the Heartbreakers, The Beach Boys, George Thorogood, Kenny Loggins, The Cars, Simple Minds, Pretenders, Santana, Ashford & Simpson, Madonna con Nile Rodgers degli Chic e i Thompson Twins, Tommy Shaw, Eric Clapton, Led Zeppelin con Phil Collins alla batteria, Duran Duran, Patti LaBelle, Hall & Oates con Eddie Kendricks e David Ruffin dei The Temptations, Mick Jagger con Tina Turner, Bob Dylan con Keith Richards e Ron Wood.

Naturalmente il Live Aid non è stato solo stecche e contrattempi, ma un evento epocale che ha dimostrato in modo clamoroso il potere di mobilitazione e coinvolgimento della musica, una forza oggi non immaginabile. Soprattutto se si considera che all’origine del Live Aid c’è il singolo, Do They Know It’s Christmas che vide tutte le più grandi star del rock e del pop inglese in sala di incisione per raccogliere fondi proprio per le vittime della carestia in Etiopia su iniziativa di Geldof e Midge Ure e che, per emulazione, mise in moto We Are The World, il singolo realizzato dalla premiata ditta Lionel Ritchie-Quincy Jones con la benedizione di Michael Jackson, che è il soggetto di uno dei più strepitosi documentari musicali degli ultimi anni e che portò in studio in una notte alcune delle leggende della musica americana.