Sulle pagine del nostro giornale, nelle prossime settimane vi segnaleremo una selezione dei lavori e degli artisti più rappresentativi della storia dell’arte italiana. Nell’attesa di poterle rivedere dal vivo.

È passata quasi in sordina la ricorrenza legata ai 250 dalla morte di Giambattista Tiepolo, uno dei pittori più importanti del Settecentesco europeo, celebre per i dipinti e gli affreschi che decorano chiese veneziane, ville venete e palazzi nobiliari di tutto il Nord Italia. La sua fama lo ha portato anche all’estero, in Germania e in Spagna: assieme ai figli Giandomenico e Lorenzo, lavorò alla residenza vescovile di Wurzburg e alla corte del re di Spagna, dove morì nel 1770. Il suo stile si caratterizza per le pennellate rapide che illuminano gli ambienti e creano l’illusione di spazi molto più ampi di quanto siano in realtà. Ha continuato la tradizione del colore e della composizione dei grandi maestri veneziani che lo hanno preceduto e ha ricreato scene allegoriche e mitologiche, vere e proprie scenografie con storie dentro le storie, spesso narrate con ironia e comicità.

Suo è anche uno dei quadri più importanti della collezione dell’NGV, il fulcro della galleria dei secoli XVII e XVIII al secondo piano.

L’episodio è particolarmente caro a Tiepolo che ne fece diverse versioni (tra cui un affresco a Palazzio Labia, a Venezia, sede della Rai): in una loggia di un palazzo regale, la regina d’Egitto, Cleopatra, ha dato uno dei banchetti dei più sontuosi della storia, costato milioni di sesterzi romani. Suo ospite è il triumviro romano Marco Antonio, che diventerà il suo amante.

I due hanno fatto una scommessa: Cleopatra sta per far cadere in un bicchiere d’aceto uno dei suoi preziosissimi orecchini di perle, per poi berlo dissolto. La regina egiziana, a differenza del politico che veste i panni militari romani, è in abiti settecenteschi e ha le fattezze di una nobildonna veneziana, probabilmente Maria Labia. Tiepolo, infatti, non perse occasione di rappresentare, nel bene e nel male, la società e i costumi del suo tempo.

Pulito e restaurato all’inizio degli anni Duemila, il dipinto è passato da diverse mani prima di arrivare a Melbourne nel 1933: acquistato dalla bottega dei Tiepolo da un nobile veneziano, finì prima a Dresda e San Pietroburgo, nelle collezioni dell’Hermitage dell’imperatrice di Russia Caterina la Grande. Furono i sovietici, dopo la caduta degli zar, a vendere il quadro al miglior offerente.