C’è un vetro che divide il dentro e il fuori: la sala del ristorante dalla piazza e, in una scena in esterno, in uno sguardo tra Anna e Luciano, la suddivisione diventa netta. C’è la storia – il fascismo, le leggi razziali, l’entrata dell’Italia in guerra – e la rappresentazione di una vicenda più privata che si svolge prevalentemente tra tavoli e fornelli.

A trentacinque anni da Il grande Blek, il regista e sceneggiatore Giuseppe Piccioni ritorna nella sua città d’origine, Ascoli Piceno, nelle Marche, per girare il suo film sulla memoria, L’ombra del giorno, aggrappandosi a un cinema più classico e rigoroso.

Nell’ambito della nuova edizione del ST. ALi Italian Film Festival, giunta finalmente in punta di piedi nelle sale australiane, dopo la serata inaugurale con le proiezioni di Nostalgia di Mario Martone e Belli Ciao con il duo comico Pio e Amedeo, migliaia di entusiastici spettatori potranno perdersi anche tra le strade pacate del capoluogo marchigiano, in una rinascimentale e spopolata piazza del Popolo, e in un centro storico tra i più monumentali d’Italia.

Ci ritroviamo alle porte del secondo conflitto mondiale; alle spalle, la tragica eredità della Grande guerra. È il 1938 e Luciano, interpretato da Riccardo Scamarcio, è il proprietario di un ristorante in pieno centro, apparentemente simpatizzante del fascismo. 

Alle sue porte giunge Anna, interpretata dalla giovanissima Benedetta Porcaroli, assunta come cameriera dopo aver atteso a lungo all’esterno del locale. La ragazza si ambienta velocemente, diventando un punto di riferimento per il titolare, eppure trascina con sé un segreto. E la vita di Luciano non sarà più la stessa.

“Avevo scritto il soggetto del film dieci anni fa – racconta il regista Giuseppe Piccioni, durante la nostra intervista, direttamente dalla sua abitazione ad Ascoli Piceno –; un produttore ha dimostrato subito interesse per questa storia in tempi astrusi. La sceneggiatura è stata scritta con maggiore consapevolezza. Già prima dell’affermazione del fascismo, con il primo conflitto mondiale, ebbe luogo quella grande emergenza che portò a un maggior accentramento delle decisioni, poi la guerra e la radicalizzazione dei movimenti: tutto è cambiato e la democrazia è svanita nel nulla. L’umore che volevo raccogliere è di una persona che potesse ritrovare quel senso di libertà così lontano. Ma in periodi così difficili, c’è sempre il rischio di perdere tutto; e se c’è una guerra, si perde tutto”.

Riccardo Scamarcio e Benedetta Porcaroli in una scena del film 'L’ombra del giorno', attualmente nelle sale cinematografiche australiane

Eppure alla fine degli anni ’30, con il muro di consensi del fascismo che continuava a crescere, e neanche l’ombra di un’opposizione, “Mussolini veniva considerato come un grande statista, si guardava a lui con grande curiosità, almeno fino all’imposizione delle leggi razziali”.

Piccioni, figlio di un sommergibilista in prima linea durante la Seconda guerra mondiale, sente quasi come se “qualcosa gli sia caduto addosso”, nonostante la sua generazione abbia fatto di tutto “per dimenticare l’orrore degli anni appena precedenti”.

“Mio padre ha vissuto nelle condizioni peggiori, per centinaia di missioni, in quelle che erano quasi ‘bare sottomarine’; è stato il suo apprendistato alla vita, essendo figlio di contadini con esperienze molto limitate alle spalle – continua il regista –. Scappò da Fiume, dove c’era la sua base navale, durante l’8 settembre al proclama di armistizio di Badoglio, e arrivò con un peschereccio a San Benedetto del Tronto insieme a mia madre, che in quei giorni era andato a trovarlo. Al porto, giunsero soltanto loro due, tutti gli altri erano stati bombardati. Da lì, partirono su un carretto per arrivare ad Ascoli Piceno. In quegli anni, inoltre, aveva anche ricevuto delle medaglie d’onore per aver salvato dei compagni che stavano per annegare. Sono storie come queste che ti lasciano riflettere; verso mio padre, ho sempre provato immensa stima”.

Ne L’ombra del giorno è evidente come lo sguardo dei cittadini si faccia sempre più ostile, come pian piano si rompa la parete di sicurezza di Luciano, il suo fortino mai assediato da cui si difende dalle ostilità altrui; inizia a compiere delle scelte in un momento storico di assoluta criticità.

E a rendere evidente il netto cambiamento è anche, e forse soprattutto, la particolare attenzione verso i dialoghi da parte degli sceneggiatori – lo stesso Giuseppe Piccioni insieme a Gualtiero Rosella e Annick Emdin. L’uso del ‘voi’, tipico dell’epoca, il dialetto per dare colore ai personaggi di contorno.

“Sono anni quasi impossibili da immaginare ed è ancora così facile ricadere in quel vortice spaventoso. Per me comprendere ha significato studiare, leggere tanto; mi ha aiutato anche la possibilità di girare il film ad Ascoli Piceno, perché nella provincia apparentemente non c’era l’estremizzazione dei conflitti, ma ci si conosceva e ci si esprimeva sempre in toni smorzati”, racconta il regista.

Le riprese della pellicola sono inoltre avvenute anche in piena pandemia, in un’Italia tragicamente svuotata e quieta. Le piazze gremite durante la dichiarazione di guerra di Benito Mussolini diventano quindi città deserta.

“Il film doveva originariamente essere ambientato a Roma, ed eravamo alla ricerca di un ristorante che fosse vuoto, in una posizione giusta, dove non ci fossero problemi di traffico e ci fosse possibilità di parcheggio, ormai sempre più complicato nella Capitale – continua –. Nel frattempo, sono tornato ad Ascoli per un breve periodo per ritrovare famiglia e amici; un pomeriggio, ero al Caffè Meletti, un bar dei primi del Novecento e, mentre stavo guardando fuori dalla vetrina proprio come Luciano fa nel film, ho capito di aver trovato la nostra location. Ho chiamato subito Scamarcio, produttore del film, che mi ha dato del ‘pazzo’. Era ormai troppo tardi per cambiare ogni cosa, ma quando ha visto le foto del posto ha compreso quanto fosse speciale”.

E proprio dalla vetrina di quel ristorante, ripercorriamo anni drammatici per l’Italia attraverso lo sguardo del protagonista, sempre carico di illusioni, con la sua dignitosa paura di sopravvivere, e attraverso il desiderio di sopravvivenza di Anna che gli sussurra di “non vedere le stesse cose che vede lui”. 

L’amore, la salvezza, il dramma di un domani non sicuro: Ascoli Piceno ne L’ombra del giorno si fa riflesso di un viaggio delle scoperte, grazie a personaggi carichi di sfumature, costantemente protetti da un vetro che, anche in un momento di intimità, si trasforma in un velo di discrezione.

“Sono così curioso di sapere come sarà sentito il film a Melbourne – aggiunge Giuseppe Piccioni –; l’Australia è uno di quei Paesi in cui si è contenti se si ha una pellicola in proiezione, un po’ come con gli Stati Uniti o la Francia. Sono pieno di aspettative, e sarei molto felice se venisse apprezzato dagli spettatori, e dagli ascolani”.