LONDRA – In risposta alla crisi innescata a livello globale dai dazi imposti a pioggia dall’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump, il governo britannico di Keir Starmer prova a rilanciare il negoziato su un accordo di libero scambio con l’India.
Le trattative si sono insabbiate nei mesi scorsi sulle difficoltà di conciliare le rispettive priorità commerciali. La discussione tra le due parti è ripresa la scorsa settimana a Londra, affidata alla cancelliera dello Scacchiere, ossia la ministra delle Finanze, Rachel Reeves, e a Nirmala Sitharaman, sua controparte indiana.
“In un mondo che cambia, questo governo è impegnato ad accelerare verso accordi commerciali con il resto del pianeta per sostenere gli affari britannici e garantire ai lavoratori le opportunità a cui essi hanno diritto”, ha dichiarato Reeves.
India e Regno Unito sono la quinta e la sesta economia al mondo in termini di Prodotto interno lordo (Pil), condividono una lunga storia comune (conflitti coloniali inclusi) e hanno al momento un interscambio pari a 41 miliardi di sterline con investimenti incrociati che danno lavoro a 600.000 persone nelle due nazioni; cifre importanti che, tuttavia, un trattato di libero scambio è destinato a incrementare, concordano i due ministri.
Dopo l’uscita dall’Ue, Londra ha finora chiuso accordi commerciali bilaterali con Australia, Nuova Zelanda e Singapore, oltre all’intesa “post divorzio” dall’Unione Europea con il club dei 27 sottoscritto con Bruxelles.
Il governo di Starmer è impegnato in parallelo a rilanciare anche i colloqui con l’amministrazione di Trump per un trattato di libero scambio con Washington, bloccatosi negli anni scorsi: un’intesa, tra l’altro, rappresenterebbe una soluzione definitiva al nodo dei dazi, nelle intenzioni del premier laburista, deciso a cercare di evitare l’arma delle ritorsioni.
Il tutto mentre Starmer insiste a parlare della bufera attuale alla stregua di una “nuova era” segnata dal superamento di una certa idea di globalizzazione economica a favore “dell’interesse nazionale”; e si rifiuta di liquidare come “protezionismo” – a costo di sconfessare il suo stesso ministro degli Esteri, David Lammy – la strategia dell’inquilino della Casa Bianca.