Le diaspore, per quanto dolorose, generano spesso un’energia creativa. È il caso dell’Associación Civil Italianos en Tandil che, nata dalla crisi della Sociedad Italiana locale, si è rivelata capace di attrarre i giovani e si impegna in una generosa offerta di attività culturali di qualità.
A parlarcene è il presidente Mauro Nardin, uno che l’italianità – su sua stessa ammissione – l’ha poppata con il latte del biberon. “Ho avuto accanto per 30 anni mio nonno, Valentino Nardin, originario di Romans d’Isonzo, in provincia di Gorizia”. Nonno Nardin, detto Gughi (dal nome del protagonista di un libro italiano per bambini del 1915), arriva in Argentina nel 1949 e si sistema inizialmente a Buenos Aires, dove già viveva una zia. Pochi mesi dopo conosce la futura moglie, a un ballo della Sociedad Friulana. “Una bella ragazza nata in Argentina da genitori friulani – racconta Mauro –. Mio nonno la invitò a ballare e la madre, che la accompagnava, diede il permesso dopo avere controllato che fosse ben vestito. Poco tempo dopo si sono sposati”.
La coppia si trasferisce a Tandil, città ai piedi della sierra, a 5 ore d’auto da Buenos Aires, che ha festeggiato poche settimane fa i 200 anni dalla fondazione. All’epoca era in rapida espansione industriale, grazie proprio agli italiani, che avevano addirittura fondato un quartiere, Villa Italia, una sorta di città nella città, dove si erano concentrate le industrie metallurgiche. Ed è qui che Valentino trova lavoro, forte di un diploma tecnico conseguito in Italia. “Erano anni in cui si poteva progettare il futuro, immaginarlo pieno di benessere – dice il nipote –. Presto mio nonno si mise in proprio, aprì una fabbrica tutta sua, mandò i tre figli all’università a studiare ingegneria”. Ed è proprio a causa del lavoro del padre che Mauro nasce e vive i suoi primi anni a Puerto Madryn, in Patagonia. Ma il suo cuore è italo-tandileño, come dimostra l’impegno per la collettività.
“Circa 25 anni fa, la locale Sociedad Italiana ha perso tutto il suo patrimonio per debiti – spiega –. La clinica Chacabuco, la sede sociale Casa de Italia, un intero settore del cimitero municipale… Tutto perduto, malgrado un tentativo di salvare il salvabile con donazioni volontarie”. Restavano in funzione le associazioni regionali. Ma il desiderio di unirsi in nome della comune italianità era forte. “Così abbiamo fondato l’Associación Civil Italianos en Tandil – spiega il presidente –. Il nostro logo (qui sotto) è un’immagine del Parque Independencia, donato dalla collettività italiana alla città in occasione del primo centenario della fondazione”.
A differenza di altre associazioni della collettività, che soffrono di un mancato ricambio generazionale, Italianos en Tandil ha soprattutto soci giovani, a iniziare dal presidente, 38enne. “Tra noi ci sono bisnipoti e trisnipoti di italiani, che a volte non hanno mai sentito parlare la lingua in famiglia – dice Nardin – ma il richiamo del sangue è forte. Vogliono avvicinarsi, condividere e noi non facciamo distinzioni tra ‘gradi di italianità’. Siamo tutti gli eredi dei valori che animato i nostri nonni e bisnonni: cultura del lavoro, onestà, perseveranza…” L’associazione ha un corpo di ballo e un coro, organizza un pranzo per la Festa della Repubblica del 2 giugno e uno a fine anno. Un sabato al mese ci si trova per il “caffè italiano”, condotto da Maria Elba Argeri, ex docente universitaria, per conversare in italiano in un contesto più rilassato di una vera e propria lezione.
Altro progetto è “Raíces Tanas Tandil” (radici italiane Tandil) e riguarda un archivio di storia orale creato da due storiche, Susana Suffredini ed Evangelina Sammaroni, per recuperare le vicende delle tante famiglie immigrate che si erano stabiite in città nella prima parte del XX secolo (www.facebook.com/raicestanas.tandil). “Partecipiamo alla festa delle collettività in occasione del Giorno nazionale dell’immigrato, il 4 settembre – conclude Mauro –. Condividiamo l’orgoglio di essere qui con le comunità più giovani, come quella boliviana. E portiamo la bandiera italiana a tutte le cerimonie pubbliche della città, proprio per rendere omaggio a quell’Argentina che accolse i nostri nonni”.