ROMA - Come anticipato sabato scorso, alla fine di una settimana burrascosa, lunedì pomeriggio Giuseppe Conte ha incontrato le due delegazioni di Pd e M5s, alle quali ha presentato la sintesi del programma di governo su cui ha lavorato l’intera giornata di domenica.
I lavori di limatura però sono andati avanti ancora per tutta per tutta la serata, con diversi incontri sempre presieduti da Conte sia con i rappresentanti di Pd e 5 Stelle, sia con i capigruppo di Liberi e Uguali, che nei giorni scorsi avevano espresso malumori per non essere stati consultati riguardo il programma e avevano avanzato le proprie proposte al Premier.
Alle 19, ora italiana, è Giuseppe Conte stesso ad aggiornare in diretta sullo stato dell’arte e a comunicare come ormai sul programma si sia praticamente giunti in dirittura d’arrivo:
“Abbiamo grandi e buone idee da realizzare con questo Paese - dice in un video in diretta da Palazzo Chigi -. Nelle consultazioni con le forze politiche ho registrato una consonanza tra Cinque Stelle, Pd e altre forze di centrosinistra sugli obiettivi da raggiungere”.
La dichiarazione, che ha un intento distensivo dopo i travagli della settimana passata e vuole altresì mandare un messaggio tranquillizzante all’opinione pubblica che segue gli sviluppi della trattativa, chiarisce anche la modalità con cui verranno scelti i ministri del futuro governo. A scanso di equivoci, ribadisce Conte, sulla composizione della squadra di governo sarà lui ad avere l’ultima parola. “Io sono il primo responsabile di questa nuova esperienza di governo” dice Conte e coloro che ne faranno parte saranno scelti saranno persone “che avranno elevata competenza, buona capacità organizzativa, una adeguata qualificazione politica”.
Ma mentre il premier incaricato già parla come premier in carica, a nessuno è ignoto come alcuni nodi, tanto sulla squadra di governo, quanto soprattutto sul ruolo di Luigi Di Maio all’interno dello stesso, restino difficili da sciogliere.
Tanto difficili che proprio su questi nodi si sono espressi i diverbi più affilati tra i due partiti e scontri anche aperti tra membri di Pd e 5 Stelle. Ma la sicurezza che traspare dalle parole di Conte non può essere un azzardo e lo si capisce pochi minuti dopo, quando sempre con un video in diretta è lo stesso Luigi Di Maio a mettere la parola fine sulla questione più spinosa, quella dei vicepremier. Il dibattito di questi giorni sui ruoli è “tristissimo”, dice il Capo politico del M5s. “Si è fatto un gran parlare sulla vicepresidenza del Consiglio dei ministri e si è detto che la trattativa si era bloccata perché c’era questa questione, ma non è vero - ribadisce -, tant’è che sono andati avanti i tavoli per la stesura del programma”. Il punto era un altro, continua Di Maio, non si poteva prescindere dal fatto che Giuseppe Conte fosse “un premier superpartes”. Pertanto, conclude “se ci fosse stato un vicepremier del Pd era giusto ci fosse anche un vicepremier del M5s”. Adesso però la situazione è cambiata, spiega il leader, “abbiamo saputo che il Pd ha fatto un passo indietro rinunciando al suo vicepremier e quindi il problema non esiste più”.
Come un tappo che salta, la dichiarazione di Di Maio ha subito l’effetto di liberare la corrente che porterà all’accordo di governo e in breve, a ruota, arriva la conferma dalle parole stesse del segretario Pd Nicola Zingaretti. “Stiamo lavorando con pazienza e serietà per un governo di svolta vera” conferma il numero uno dei dem, “se si stanno facendo, come pensiamo che si stiano facendo, per fortuna, passi in avanti in questa direzione, ovviamente noi siamo fiduciosi e ottimisti e continueremo a lavorare per questo risultato”.
In molti leggono ormai nelle parole di Zingaretti il via libera definitivo per l’intesa di governo, tanto che fonti del Partito Democratico lasciano intendere come anche per la rosa di ministri e sottosegretari si sia già trovato un accordo di massima. Ma dall’altra parte c’è anche chi così sicuro non è e mette in guardia tutti sull’ultimo possibile sgambetto possibile proprio sulla linea del traguardo. La votazione su Rousseau è prevista infatti per il giorno dopo e vale quel “se”, che evidentemente Zingaretti non usa a sproposito.