PARIGI – I riflettori sono tutti puntati su Washington e Mosca, ma Parigi riapre anche il fronte orientale.
Tornato in patria dopo la sua missione in Cina e impegnato a tessere la diplomazia dei Volenterosi per Kiev, Emmanuel Macron ha alzato il tono rivelando di aver minacciato Pechino con l’introduzione di dazi se non interverrà per ridurre l’enorme surplus commerciale con l’Ue. “Ho detto loro che”, senza un cambio di rotta, “noi europei saremo costretti a prendere provvedimenti forti nei prossimi mesi”, ha confidato ai microfoni de Les Echos.
Misure che potrebbero ricalcare la linea dura adottata da Donald Trump, con tariffe fissate inizialmente al 57% e, dopo l’intesa di ottobre, ridotte al 47%.
La prospettiva, per stessa ammissione dell’inquilino dell’Eliseo, difficilmente otterrà il pieno sostegno della Germania fortemente esposta sul mercato cinese. Ma proprio da Berlino, con il ministro degli Esteri Johann Wadephul pronto a volare a Pechino, è arrivata una sponda indiretta. Con il richiamo al Dragone a “spingere la Russia verso negoziati seri che rispettino la sovranità dell’Ucraina”.
E con l’indicazione del titolare della diplomazia tedesca di voler mettere sul tavolo i dossier più delicati dei rapporti economici bilaterali: semiconduttori, minerali critici, acciaio e, soprattutto, auto elettriche. “Le restrizioni sulle terre rare e l’eccesso di capacità cinese nell’elettrico e nell’acciaio preoccupano profondamente le nostre imprese”, ha spiegato l’esponente della Cdu, a conferma che il nodo commerciale resta il più urgente.
Il disavanzo l’tra Ue e la Cina ha superato i 300 miliardi di euro nel 2024, una soglia che allarma Parigi ma che non può essere affrontata unilateralmente, con la politica commerciale nelle mani di Bruxelles.
“La Cina vuole colpire al cuore il modello europeo di industria e innovazione, costruito per decenni sulla meccanica e sull’automotive”, ha rincarato Macron, evidenziando come, a peggiorare ulteriormente il quadro, il protezionismo statunitense stia spingendo Pechino a “dirottare massicciamente verso l’Europa” prodotti - l’acciaio in primis - inizialmente destinati al mercato Usa.
Nel quadro delineato dal presidente francese prende forma “una morsa” che rende, per l’industria europea, la sfida “una questione di vita o di morte”. A Bruxelles potrà contare sul lavoro del commissario all’Industria, il connazionale Stéphane Séjourné, che da settimane coordina le ipotesi di un irrigidimento delle norme sugli investimenti esteri, così da evitare che le imprese cinesi penetrino nel mercato unico senza restituire benefici tangibili ai lavoratori europei.
I nuovi criteri, aveva spiegato Séjourné, dovranno “sostenere l’intera catena del valore europea” e, nei settori strategici come le batterie, prevedere obblighi di trasferimento di know-how e occupazione locale. Un’agenda che richiama la reindustrializzazione evocata da Trump, ma “con strumenti diversi dai dazi”. Segno che, almeno per ora, la partita si giocherà più sulle norme che sulle tariffe.