PALERMO - Manca la querela delle vittime, condizione di procedibilità introdotta per certi reati come quello di lesioni e sequestro di persona dalla riforma Cartabia, e la Procura di Palermo è costretta a chiedere l’annullamento della misura cautelare per tre boss, imputati di lesioni aggravate dal metodo mafioso.
Le vittime, interpellate dal giudice come prevede la norma, si sono infatti rifiutate di querelare i capimafia per timore di ritorsione da parte dei clan e così ai pm non è rimasto che chiedere la revoca della misura.
La vicenda riguarda in particolare i boss del clan Pagliarelli Giuseppe Calvaruso, reggente del mandamento, Giovanni Caruso e Silvestro Maniscalco che, oltre ai reati di associazione mafiosa ed estorsione, rispondevano in questo procedimento, a vario titolo, di sequestro di persona e lesioni aggravate dal metodo mafioso.
Per entrambe le ipotesi di reato la riforma Cartabia prevede la querela come condizione di procedibilità. Qualora le vittime non vogliano procedere con la querela, la misura cautelare è inefficace. Secondo quanto emerso dalle indagini, a seguito delle quali i tre furono arrestati, gli indagati sarebbero responsabili del sequestro e del pestaggio di due persone ritenute dalla cosca responsabili di una rapina non autorizzata da Cosa nostra. Interpellate sulla volontà di querelare i tre mafiosi le vittime si sono rifiutate.
I tre boss resteranno comunque in carcere perché destinatari di altre misure cautelari fa sapere la Procura di Palermo, ma la questione allarma i magistrati perché il caso si potrebbe presto riproporre.
Anche per questo, il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia, interpellato dall'ANSA, ha lanciato un appello alla politica perché venga immediatamente cambiata la riforma, approvata nonostante la magistratura avesse fin da subito sottolineato inutilmente le sue storture al governo Draghi.
“Le recenti notizie di stampa in ordine alla probabile revoca di misure cautelari per reati diventati procedibili a querela, pur quando sia contestata l'aggravante del metodo mafioso o dell'agevolazione mafiosa, impongono un ripensamento, in tempi rapidi, delle scelte del legislatore ha spiegato Santalucia. “In presenza di tal tipo di aggravanti – ha continuato il presidente dell’Amn - anche il reato che, in astratto, può sembrare di non particolare gravità, assume una fisionomia incompatibile con l'affidamento alle singole persone offese della possibilità di perseguirlo in concreto, secondo logiche di deflazione del carico giudiziario che sono accettabili soltanto in riferimento a reati autenticamente bagatellari”.