Dopo la partecipazione all’ultimo Festival di Sanremo con il brano “Ti piaci così”, Malika Ayane pubblicare il suo nuovo album, il sesto, dal titolo “Malifesto”. “E’ il mio terzo disco sul presente, dopo Naif (2015) e Domino (2018). Con la differenza che questo presente è molto diverso dagli altri - racconta l’artista -. Ma non volevo trattare questo momento come qualcosa da subire, piuttosto come una condizione temporale inevitabile. E inevitabilmente ci troviamo a osservare il mondo in modo diverso. Ecco, ‘Malifesto’ mette insieme il bisogno di raccontare la vita che era di ‘Naif’ e il bisogno di osservare di ‘Domino’. Senza giudicare troppo”.

“Malifesto” (“un gioco di parole con il mio nome, che mi diverte sempre molto, con il quale volevamo esprimere la necessità di riscoprire le emozioni e l’importanza di manifestarle”) contiene 10 brani scritti con Pacifico, Colapesce, Antonino Di Martino, Alessandra Flora, Leo Pari, Antonio Filippelli, Daniel Bestonzo e Rocco Rampino. “La pluralità di scrittura - spiega Malika, che dopo esperienze all’estero, Berlino in particolare, per la prima volta ha realizzato tutto il disco in Italia, producendolo con gli stessi Filippelli e Bestonzo - era importante per avere più punti di vista sui vari attimi raccontati, sulle varie emozioni vissute”. La scelta produttiva, racconta ancora la cantautrice, prende il via anche dalle suggestioni della musica contemporanea francese, “per prendere ispirazione, senza perdere le proprie radici”.

Per restituire queste atmosfere, e l’eleganza sempre raffinata tipica di Malika, il suono di “Malifesto” è realizzato principalmente con batterie strette registrate con pochissimi microfoni, pochissime chitarre elettriche e più spazio a strumenti acustici a corda come la chitarra classica, l’ukulele, la chitarra acustica. E la voce, unica e riconoscibile di Malika, diventa a sua volta strumento. “Nascere con un timbro particolare è una fortuna - dice - bisogna imparare a utilizzarla da un punto di vista tecnico, ma anche a trasformare in suono la propria emotività”. Sull’eleganza raffinata che da sempre la contraddistingue tiene a mettere un punto: “Non ho timore che questo sia considerato un album troppo sofisticato: la lezione più bella che ho imparato in questi anni è che non c’è una regola precisa perché un disco abbia successo, se non quella di fare ciò che si sente di fare. Se ‘Malifesto’ suonerà troppo sofisticato, pazienza. L’importante è essere onesti con se stessi e con gli altri. Certo che se dobbiamo considerare sofisticata la Ayane, siamo messi male...”, scherza la cantante che rivendica di essere cresciuta nel tempo, “di aver guadagnato consapevolezza anche a livello musicale, riscoprendo l’essenzialità, ma di essere diversamente sempre la stessa. La Malika di ieri è fondamentale per la Malika di oggi. Le caratteristiche rimangono immutate, ma i contesti ci permettono di svilupparle in un modo o nell’altro. Qui dentro ci sono un sacco di Malike”.

C’è qualcuno di questa nuova generazione che le piace particolarmente? Che in questi anni l’ha colpita particolarmente? “Colapesce e Dimartino, a Sanremo hanno presentato un pezzo bellissimo, non mi stupisce. Ma poi c’è un mondo parecchio interessante là fuori, c’è una scena musicale che finalmente prescinde da tanti codici formali in cui ci si incontra previo appuntamento ufficiale, ci si incontra nei bar e questo mi piace”.

Malika, nata a Milano da padre marocchino e da madre italiana, ha le idee chiare anche sulla cosidetta nuova generazionie di cantautori, quelli che convenzionalmente chiamiamo “indie”, anche se sappiamo che ormai di indipendente c’è ben poco… “Io già diversi anni fa dicevo che era ‘Mainstream 2’ perché i numeri, bene o male, erano tali e quali a quelli mainstream e addirittura in certi casi più grandi, si sviluppa semplicemente su canali diversi. Quindi sono molto contenta che molti di questi si siano presentati sul palco del Festival, ma trovo anche che chiamarla scena più giovane o usare il termine ‘ricambio generazionale’ sia inesatto perché se penso a Dimartino e Colapesce, a Ghemon, Coma_Cose, Willie Peyote… sono tutt’altro che ragazzini! Quindi è ancora più bello quello che ha fatto Amadeus, perché ha dato spazio a delle cose che esistono nel mercato musicale, non ha cercato dei nuovi Al Bano, è stato molto fedele alla musica che c’è oggi, non ne ha fatto una questione anagrafica. Poi per fortuna ci sono i 18enni, i 20enni, ma meno male, anche se in realtà è già successo che ci fossero ventenni: io ne avevo 25 quando ho fatto il mio primo Sanremo, quindi ci sta anche che uno lo faccia a quell’età, ma il fatto è di scegliere delle cose così, più anche rischiose ma molto presenti, mia nonna se avesse visto questo Sanremo le sarebbe piaciuto”. In conclusione, Malika ammette di pensare che “porti un po’ sfiga vincere Sanremo, ne ho visti alcuni non fare delle fini proprio brillanti...”.