L’Italia è un Paese di cicogne tardive. L’età media al primo figlio per le donne italiane è di 33 anni (ISTAT 2023). Dal punto di vista medico, l’età materna viene definita “avanzata” dopo i 35 anni e “molto avanzata” dopo i 45. Eppure, più dell’8% delle donne italiane ha il primo figlio dopo i 40 anni, con un crescendo di rischi per mamma e bambino. Rischi poco considerati sia nelle gravidanze spontanee sia, e ancor più, nelle gravidanze ottenute con procreazione medicalmente assistita (PMA).
È opportuno riflettere insieme sui concepimenti tardivi, circondati da un’aura di felice onnipotenza che fa torto alla complessità di rischi che la maternità comporta con il crescere dell’età. La professoressa Nicoletta Di Simone (Humanitas University) ne ha parlato con grande accuratezza di dati all’ottimo convegno “Vulva Forum”, tenutosi a Napoli il 15 e 16 novembre. Prima domanda: perché le italiane continuano a procrastinare la prima gravidanza? Pesano le difficoltà economiche e il tardivo sentimento di paternità degli uomini italiani, rispetto, per dire, agli olandesi.
Pesano ancor più le difficoltà di conciliare gli impegni di lavoro con la famiglia e la cura dei piccoli, se la coppia si è trasferita lontano dalle famiglie di origine e dal loro prezioso supporto. Pesa lo stress biologico e psichico, che altera i bioritmi materni, aumenta il cortisolo e l’infiammazione associata, e rende più difficile il concepimento e la progressione fisiologica della gravidanza, aumentando il rischio di parto prematuro e di ipertensione materna. E pesano le sostanze ambientali che agiscono da interferenti endocrini (“endocrine disruptors”).
Questi tossici ambientali si accumulano nel corpo della donna con l’aumentare dell’età, interferiscono con i recettori ormonali del feto e ne alterano in diversa misura lo sviluppo. In termini semplici: se l’utero è la prima cameretta del bambino e il corpo della mamma è la sua prima casa, l’accumulo di questi interferenti, oltre ad agire negativamente sull’ovaio, sulla qualità degli ovociti e dei futuri embrioni, rende meno sana la cameretta e l’intera casa. Viene lesa la capacità di barriera dinamica funzionale della placenta, che tende a invecchiare prima e peggio, con aumento dei parti prematuri e di minore nutrizione del feto, che tende a nascere più piccolo rispetto all’età gestazionale.
A meno che la donna non soffra di diabete gestazionale, nel qual caso il peso del feto è eccessivo per l’età, con complicanze non meno pesanti. Inquietante è il rischio di malformazioni, più frequenti nella PMA con ovociti propri, tardivi, rispetto a quelli di donatrice giovane: il rischio relativo di malformazioni aumenta del 22% per le genitourinarie, del 23% per le cardiovascolari, del 28% per le muscoloscheletriche, del 40% per le bocca e volto, e di ben l’85% per le gastrointestinali, per citare solo le più rilevanti. Importante anche l’aumento di rischio di autismo, che aumenta linearmente col crescere dell’età materna e, attenzione, anche paterna.
Non bastasse, è emerso un aumento del 61%, del rischio di leucemia acuta nei nati da embrioni congelati, con dati tratti dal registro nazionale francese (French National Mother-Child Register – EPI-MERES). Non opinioni, quindi, ma dati su cui riflettere seriamente. Rischi ancora maggiori nelle gravidanze gemellari ottenute con PMA. Basti dire che in queste ultime i rischi aumentano di 4 volte per la mamma e di 5 volte per i figli rispetto alla gravidanza con feto unico.
Quali rischi? Per quantificarli e definirli con maggiore accuratezza ecco la pubblicazione di Shemoom Marleen e collaboratori (Human Reproduction Update, 2024) su 11 studi, per un totale di ben 802.462 gravidanze: aumento del 33% del rischio relativo di parto prematuro prima della 34a settimana di gestazione, del 61% di diabete gestazionale, del 29% di ipertensione in gravidanza e dell’80% di taglio cesareo rispetto alle gravidanze gemellari da concepimento spontaneo.
Al momento della nascita, è amaro scoprire il 17% in più di rischio di malformazioni, il 31% in più di sindrome da distress respiratorio e il 24% in più di ricovero in unità di cure intensive neonatali: complessivamente un 25% in più di problemi nelle gemellari dopo PMA rispetto alle gemellari spontanee, problemi ancor più alti con il crescere dell’età materna.
Merita quindi riflettere molto su opportunità e rischi della PMA oltre i 40 anni, inclusa la possibile nascita di un figlio problematico o molto sofferente, ben diverso dal bimbo dei sogni. Per le più giovani, è saggio ripensare meglio la stagione della maternità, senza rimandarla troppo, ove possibile, meglio se con l’aiuto di politiche davvero di supporto alla scelta di essere mamme e genitori, nella giusta stagione.
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