Matteo Bernasconi si definisce un “filosofo visivo” e, ascoltandolo parlare, è difficile non credergli. La sua pittura è un gesto che cerca il senso, o meglio, lo spazio dove il senso può emergere.

Lo abbiamo incontrato a Sydney, città in cui vive e lavora da oltre dieci anni, per parlare di arte, emozione, rischio e della sottile linea che separa ciò che si vede da ciò che si sente.
“Non cerco di rappresentare qualcuno. Cerco di evocare qualcosa”.

Quando Bernasconi parla dei suoi ritratti, è chiaro che la figura umana è solo un punto di partenza: “Uso il corpo e la figura per far sentire qualcosa. Quello che si vede deve rimandare a qualcosa che non si vede. L’arte, come la musica, ha questo potere: può farti accedere a un livello invisibile”, ha detto.

Nato a Brescia, con studi in Architettura al Politecnico di Milano, ha vissuto in Spagna, Portogallo e Inghilterra, prima di approdare in Australia. “Questa terra così lontana mi ha fatto apprezzare ancora di più l’arte europea. Nel Vecchio Continente spesso la diamo per scontata. Ma quando te ne allontani, ne comprendi il valore. Qui la natura è protagonista, ma io, paradossalmente, ho sentito il bisogno di tornare alla figura umana, alla storia, alla pittura come riflessione sull’essere”.

“Non ho uno stile preciso. Per me lo stile è un’abitudine”, dice Bernasconi, che rifiuta l’idea di aderire a un’estetica fissa. “Scelgo la tecnica in base a quello che voglio rappresentare. Se dipingo una persona timida, forse userò l’acquarello. Ma non voglio che la tecnica rappresenti me: voglio che rappresenti il soggetto”.

E questa libertà si riflette anche nella sua metodologia: “Quando inizio a dipingere, non so come andrà a finire. Uso anche l’errore, l’imprevisto. A volte faccio tre versioni dello stesso ritratto: solo alla fine capisco davvero chi ho di fronte”.

Dal 27 marzo al 26 aprile 2025, la sua serie Essential sarà visitabile alla Peach Black Gallery di Chippendale, dove si trova anche il suo studio. In esposizione dei ritratti di artisti e artiste australiani, realizzati dopo la pandemia, in un momento in cui la figura dell’artista era stata relegata a “non essenziale” e che ha fatto nascere in lui l’esigenza di restituire uno spazio a questi creativi. “Il potere dell’artista oggi non è quello di fare rivoluzioni. È quello di creare una reazione, una riflessione. Come ho già detto, l’arte è l’unica cosa che può farti vedere l’invisibile. Se togli l’arte, togli il cinema, i libri, la musica: cosa resta della nostra umanità?”.

Nel corso dell’incontro abbiamo toccato anche temi quali l’opera Comedian di Cattelan, artista d’arte contemporanea, che ha realizzato la celebre banana attaccata al muro con del nastro adesivo, venduta all’asta da Sotheby’s a New York nel 2024, alla cifra di 6,2 milioni di dollari. Bernasconi non si trattiene: “Quella banana è solo una banana. Esiste perché qualcuno l’ha spiegata. Se togli il titolo e togli il critico, non resta niente. L’arte invece dovrebbe reggersi da sola, senza istruzioni. Come un Tintoretto o una scultura incompiuta di Michelangelo: ti muovono dentro anche senza che nessuno te le spieghi”.

La sua è una posizione netta contro un certo mondo dell’arte contemporanea “che allontana il pubblico e rende l’arte una questione elitaria”. Ma è anche una riflessione sul senso profondo della creazione: “Se dieci persone vedono dieci cose diverse nel mio quadro, allora forse ho fatto un buon lavoro. Se ne vedono una sola, forse è solo una bella illustrazione”, ha aggiunto.

Un altro argomento trattato è stato quello sulla diffusione dell’intelligenza artificiale nel mondo dell’arte. Per Bernasconi “è come un grande archivio: può ricreare ciò che è già stato fatto, ma non può creare qualcosa di nuovo. L’arte è invenzione, non ripetizione. È un linguaggio che nasce dal corpo, dall’intuizione, dall’errore”.
Per Bernasconi, l’artista resta una figura essenziale. Non perché salverà il mondo, ma perché può ancora porre domande vere. “L’artista non deve soddisfare aspettative. Deve trovare il coraggio di non farlo. Come diceva David Bowie, ‘Never fulfill other people’s expectations’. Solo così si crea davvero”.

Nel suo studio di Chippendale, tra tele, pigmenti e silenzi, Matteo Bernasconi continua a interrogare il visibile per tentare di cogliere l’invisibile. La sua pittura non cerca risposte definitive, ma spazi di verità in cui emozione, corpo e pensiero possano incontrarsi senza maschere.
In un mondo che corre verso l’automatizzazione e la riproducibilità, Bernasconi rivendica il valore dell’errore, dell’intuizione, del dubbio. E forse proprio in questa vulnerabilità, in questa scelta ostinata di rimanere umano, risiede oggi la forza più radicale dell’arte.