Si è aggrappato ai loro ricordi, alle paure inespresse, alle loro storie lontane. L’acclamato regista Matteo Garrone, dopo le standing ovation nei festival cinematografici di tutto il mondo – anche se non ha timore di ammettere di “essere stato rifiutato da una marea di rassegne internazionali” –, si è fatto messaggero di un viaggio violento, epico e drammatico che purtroppo ancora non si conosce.
In Io Capitano, già considerato un capolavoro nella sua produzione filmica, Garrone racconta, cullando lo spettatore tra sogno e realtà, l’odissea vissuta da due cugini sedicenni, Seydou e Moussa, migranti dal Senegal alle coste siciliane, dopo aver coraggiosamente attraversato il deserto del Sahara e i lager libici.
I due protagonisti sono interpretati sul grande schermo da due attori emergenti di immenso talento, Seydou Sarr e Moustapha Fall, oggi ospitati nella casa di famiglia del regista, alle porte di Roma.
Dopo il Leone d’Argento di Venezia come ‘Miglior regista’ e il Premio Marcello Mastroianni al ‘Miglior attore esordiente’, Seydou Sarr, Garrone è volato fino in California per l’ultima edizione dei Golden Globes e per gli ambiti Academy Awards, nominato come ‘Miglior film straniero’. Oggi, però, riconosce con leggerezza come eventi hollywoodiani del genere giovino soltanto alla pellicola e “forse più ci si tiene lontani da queste realtà, più si mantiene intatto il loro fascino”.
Nei cinema di tutta Australia dallo scorso 28 marzo, Io Capitano si appresta intanto a intraprendere un nuovo viaggio attraverso il Senegal; Garrone, infatti, partirà questa settimana per un tour in caravan nel Paese africano “per portare il film nei villaggi dove il cinema non è mai arrivato”.
Seydou Sarr (sinistra) e Moustapha Fall, protagonisti di Io Capitano, l’ultima pellicola di Matteo Garrone
“Spero che anche in Australia ci si possa identificare con la storia dei protagonisti – dichiara il regista in una nostra intervista in videochiamata –; dopotutto, è un film che tocca un tema globale, universale. Tutti inseguiamo un sogno, anche se per molti è illusorio. Io Capitano parla di violazione di diritti umani, di giovani che amano viaggiare e che sono disposti a rischiare la propria vita per conoscere il mondo. In questo senso, penso ci si possa identificare. Io mi sono identificato con i protagonisti pur non avendo mai vissuto sulla mia pelle un’esperienza simile. Non ho dovuto attraversare il deserto a piedi, non sono stato prigioniero in Libia, ma sono partito per scoprire l’America, per andare in Inghilterra, in Paesi che volevo conoscere, per cercare opportunità migliori. Penso sia un film universale perché parla del viaggio di un eroe contemporaneo che parte giovane e arriva uomo. Una sorta di romanzo di formazione: il protagonista si trasformerà e vivrà esperienze che lo cambieranno per sempre”.
La sceneggiatura originale di Io Capitano ha subìto una necessaria trasformazione linguistica in fase di realizzazione: Garrone ha difatti scelto di raccontarla a voce agli attori, che la traducevano in wolof, la lingua più diffusa in Senegal.
La storia, inoltre, nasce dai racconti raccolti in alcuni centri di accoglienza d’Italia, da coloro che quel viaggio l’hanno intrapreso davvero: come Mamadou Kouassi, che dalla Costa d’Avorio ha attraversato il deserto fino alla Libia e, dopo tre anni di prigionia, è stato venduto. Ora vive a Caserta dove si occupa di mediazione culturale.
E poi c’è la storia di Fofana, il vero ‘capitano’ che a quindici anni si è ritrovato al timone di una barca con 250 passeggeri a bordo, senza alcuna esperienza pregressa. Giunto a terra, ha urlato ‘Io capitano, io capitano!’, pur sapendo di rischiare la galera come trafficante, come poi effettivamente è accaduto.
“Abbiamo realizzato il film ‘insieme’, con chi ha vissuto queste esperienze – ribadisce Garrone –: spesso loro erano co-registi, perché mi aiutavano a ricreare quello che hanno vissuto in passato. Abbiamo ricostruito un mondo con verità e autenticità, ed era necessario un gioco di squadra; io sono stato un tramite. Ho messo a disposizione la mia esperienza, il mio sguardo, ma resta un film che abbiamo fatto insieme. Mi sono spesso ritrovato a essere il primo spettatore di quello che stava accadendo, più che il regista”.
La pellicola, apprezzata da pubblico e critica, nasce dal desiderio di raccontare ciò che di solito non si vede, “dare forma visiva a quella parte di viaggio che non si conosce, posizionando la macchina da presa dall’altra parte”.
“Non ho mai pensato che il film dicesse qualcosa di nuovo rispetto a quello che la politica già conosce. Loro sanno bene che si muore durante un viaggio del genere, conoscono i numeri dei decessi – afferma il regista –. Quello che posso dire con certezza è che questo film sicuramente sensibilizza, e posso affermarlo perché ho incontrato spettatori di ogni età e per molti di loro è cambiato il rapporto con questo dramma, il dramma della nostra epoca. Il film ha avuto un grande successo grazie anche a un lavoro prezioso di insegnanti, non solo in Italia, ma anche in Francia, e mi auguro venga fatto anche in Australia”.
“I giovani possono immediatamente empatizzare con i protagonisti perché stringono gli stessi desideri, gli stessi sogni – continua –. Possono finalmente vedere che dietro questi numeri che si è abituati a sentire in televisione, di vivi e di morti, ci sono delle persone, degli esseri umani. In un certo senso, spero che il film possa aiutare a costruire una coscienza diversa. Questo, sì, me lo auguro”.
La scena del sogno del protagonista Seydou in Io Capitano
Nonostante giornate di scampato pericolo sul set, in particolare nelle scene girate sulla jeep nel deserto oppure in barca – “Abbiamo rischiato anche qualche incidente mortale, ma siamo sempre stati fortunati; si è rivelato un film un po’ magico anche nei momenti cruciali e più difficili”, racconta Garrone –, Io Capitano trascina una forte chiave onirica, una cifra incredibilmente poetica, spesso d’ispirazione chagalliana, impronta personale del regista e della sua formazione pittorica.
“I sogni che compaiono nella pellicola nascono dal desiderio di raccontare i traumi profondi che il personaggio vive. Il suo inconscio, le ferite dell’anima che lo segneranno per sempre. Volevamo dare allo spettatore la possibilità di viverli dall’interno – racconta –. E poi è un film che unisce i miei precedenti Pinocchio e Gomorra, con elementi fiabeschi del primo e quel realismo documentaristico proprio del secondo”.
Il regista Matteo Garrone, in conferenza stampa prima della cerimonia degli Academy Awards 2024
E se in Io Capitano racconta il calvario di Seydou e Moussa che tentano di aggrapparsi ai propri sogni nonostante una realtà nemica, il regista Matteo Garrone sente in un certo senso di aver trovato la sua strada.
“Ho la fortuna di fare un lavoro che mi completa e che mi rende felice – dichiara con il sorriso –, e anche di esser riuscito a realizzare dei film che hanno incontrato il favore del pubblico; questo per me è il sogno realizzato. I premi possono arrivare oppure no; non è il punto di arrivo. La cosa importante è che io senta di fare ciò che amo, un privilegio che purtroppo non appartiene a tutti”.