ROMA - Giorgia Meloni teme di subire il contraccolpo negativo dell’accordo sui dazi, sia in Europa che in Italia. La premier, rientrata da Addis Abeba, è stata a Palazzo Chigi per fare il punto della situazione con il suo staff.
Proprio nella capitale etiope, Meloni aveva definito “positiva” l’intesa, da lei caldeggiata per scongiurare una guerra commerciale. Poi, però, ha visto le reazioni e la soddisfazione ha lasciato spazio ai timori.
In Europa il premier francese François Bayrou ha parlato di “un giorno buio”, lo spagnolo Pedro Sánchez si è detto “senza alcun entusiasmo” e anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz – leader con Meloni dei “trattativisti” – ha espresso forti critiche.
Dunque, ha un qualche fondamento la preoccupazione di vedersi imputare la colpa dell’accordo, in virtù della “relazione particolare” con Donald Trump e dell’approccio morbido verso il presidente Usa. Tanto che il presidente del Senato Ignazio La Russa si è sentito in dovere di precisare che il tycoon “non è mai stato un punto di riferimento per la destra”.
C’è poi il fronte interno. Se erano scontati gli attacchi delle opposizioni – con Schlein che parla di “resa alle imposizioni americane” e Conte di “una Caporetto” – a destare preoccupazione sono le categorie economiche, a partire da Confindustria.
Il presidente Emanuele Orsini, che con Meloni ha un solido rapporto, parla di una “sberla” all’Europa, prevedendo un calo dell’export di oltre 22 miliardi. Cifre elevatissime che richiedono un “piano straordinario europeo per l’industria”.
Sostegni alle imprese vengono chiesti da più fronti e la stessa Meloni ha assicurato che il governo consulterà le categorie per capire come intervenire. Il problema è che la coperta è corta: il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che poche settimane fa aveva definito “non sostenibili” dazi superiori al 10%, dovrà mettere a punto una manovra complessa e trovare risorse aggiuntive sarà molto difficile.
Per questo, un’ipotesi in campo è quella di utilizzare fondi del Pnrr per aiutare le imprese. La percorribilità della strada, però, è tutta da chiarire: fino a quando non sarà siglata l’intesa definitiva “non c’è un quadro sufficientemente chiaro”, spiega il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti, e dunque “non è possibile avanzare alcuna valutazione fino a quel momento e tantomeno prospettare una rimodulazione coerente del Pnrr”.
Sicuramente il governo spingerà perché l’intervento sia a livello europeo, con sostegni diretti ma anche con la rimozione di quelli che Meloni ha sempre definito “dazi autoimposti”, ovvero i costi impliciti derivanti dalla burocrazia.
In tutto questo passa in secondo piano la questione del nodo delle candidature alle regionali. Dopo due vertici andati a vuoto, una nuova riunione era stata ipotizzata per questa settimana, ma potrebbe slittare sia per l’emergenza dazi, sia perché un’intesa è ancora lontana.
“Ci sta l’ira di Dio nel mondo, stiamo facendo altre cose, appena potremo ci vedremo”, ha detto questa mattina il ministro Antonio Tajani parlando con i giornalisti.