Nelle onde che lambiscono rive lontane, nel profilo incerto di una terra promessa, si cela l’eco di un viaggio, la genesi di una nuova esistenza. E poi, tra le case che punteggiano un orizzonte australiano, si materializza una quotidianità ricostruita con la tenacia di chi ha lasciato alle spalle non solo un luogo, ma un intero universo di affetti e memorie.
Eppure, un filo invisibile, intessuto di nostalgia e speranza, lega indissolubilmente queste due realtà. È il filo dei ricordi, un patrimonio immateriale che trascende confini geografici ed epoche, fondamento granitico della nostra identità, linfa vitale della nostra storia individuale e collettiva.
Il docufilm Memories That Make Us si fa custode di questo sacro legame, un ponte emotivo tra generazioni separate dalla distanza e dal tempo.
Nato dalla sinergia feconda tra la Deakin University – con la visione dei produttori Martin Potter, Toija Cinque e Sean Redmond –, il Co.As.It. di Melbourne, cuore pulsante della comunità italiana locale e il prezioso contributo del ricercatore e giornalista senior de Il Globo, Riccardo Schirru, del ricercatore Francesco Contardo e del production manager Fotis Kapetopolous, il progetto si addentra con delicatezza nelle pieghe delle esistenze di coloro che hanno abbandonato un’Italia ferita, prima dalle ombre lunghe del fascismo e poi dai bombardamenti implacabili della guerra. Uomini e donne in cerca di un orizzonte di pace e prosperità, approdati in terra australe, a volte guidati dal caso, altre volte da una scelta sofferta ma determinata.
Lo scorso 20 marzo, la comunità è accorsa numerosa al Co.As.It. di Carlton, attratta dalla promessa di un viaggio a ritroso nel tempo, un’immersione nelle radici che nutrono la loro identità italo-australiana.
Un rinfresco, accompagnato dall’incredibile voce della cantante Ilaria Crociani, ha preceduto la proiezione, mentre ad accogliere gli ospiti, una mostra speciale che ha visto protagonista assoluta la sensibilità di alcuni eclettici artisti e professionisti: Frank Di Blasi, pilastro della comunità italiana in Victoria, insignito della Medaglia dell’Ordine d’Australia nel 1984 e del cavalierato dal presidente della Repubblica italiana Francesco Cossiga nel 1986, che continua con la sua fotografia, sempre guidato da un impegno indefesso, a immortalare la quotidianità affettuosa, le celebrazioni gioiose e i successi degli italo-australiani, arricchendo giorno dopo giorno il suo prezioso archivio visivo; Carla Maggio De Leo, artista emergente di Melbourne con una passione per la musica, la performance e la narrazione; Toija Cinque, professoressa in Media digitali presso la Scuola di Comunicazione della Deakin University; l’artista Nicola Serbo, che ha omaggiato suo nonno Pino Calati presentando una collezione delle sue opere.
Un percorso espositivo che ha esplorato il bagaglio culturale e sociale portato con sé dai migranti, ciò che hanno lasciato nella loro terra natìa e come le loro tradizioni si siano trasformate, evolvendosi in un nuovo contesto.
Tra manufatti carichi di storia, fotografie in bianco e nero che raccontano volti e momenti di un’epoca trascorsa e resoconti personali intrisi di emozione, la mostra si è rivelata una profonda riflessione sulla resilienza, sull’identità fluida e sulla capacità di trasformazione insita nell’esperienza migratoria.
Un monito potente contro l’oblio, un modo per assicurare che le storie di una generazione di pionieri non si disperdano nel vento del tempo.
Sono le storie d’Australia, un mosaico di sfide superate e conquiste celebrate, sono quei “memories that make us all”, quei ricordi che ci plasmano e ci uniscono nella nostra comune umanità. Le opere d’arte, le cronologie fotografiche e gli oggetti tipici di una cucina italiana si ergono come un tributo vibrante alla loro eredità.
Le opere di Pino Calati, omaggio di suo nipote Nicola Serbo
Dopo il caloroso benvenuto di Paolo Baracchi, manager del programma culturale del Co.As.It., il buio della sala ha accolto le prime immagini del docufilm.
Le onde del mare, metafora potente di un confine superato con coraggio e timore, si sono infrante sulla costa di una nuova speranza: le prime abitazioni australiane che si sono trasformate gradualmente in case accoglienti, simbolo di una vita faticosamente conquistata. E proprio tra quelle immagini evocative, tra i racconti sussurrati o gridati con passione, il pubblico presente in sala si è riconosciuto. Le risate fragorose, l’eco di aneddoti familiari, di situazioni vissute sulla propria pelle o tramandate dai genitori.
E poi, le lacrime silenziose hanno rigato i volti, specchio di un dolore antico, di una nostalgia mai sopita, del sacrificio compiuto per costruire un futuro migliore per i propri figli. Le reazioni sincere, immediate, viscerali, hanno testimoniato la potenza di una narrazione autentica, capace di toccare le corde più profonde dell’anima.
La vera originalità dell’opera risiede infatti nella sua prospettiva intima e autentica.
Non sono freddi dati statistici o ricostruzioni storiche a parlare, ma le voci vibranti dei protagonisti stessi. Sono loro a scegliere le memorie più significative, quelle che meglio definiscono il loro essere, la loro resilienza, il loro percorso umano.
L’angolo Casa realizzato da Carla Maggio De Leo
Al termine della proiezione, le voci di coloro che hanno dato vita a questa preziosa testimonianza – Martin Potter, Toija Cinque, Carla Maggio De Leo, Frank Di Blasi e Lella Cariddi – hanno arricchito la serata, moderata dal giornalista Riccardo Schirru. Le loro parole hanno svelato il processo creativo, la dedizione nel raccogliere e intrecciare le storie, la consapevolezza nel custodire un patrimonio inestimabile.
I numeri che ci sono giunti raccontano solo una parte della storia: circa 33mila italiani emigrati in Australia tra il 1947 e il 1950, seguiti da altri 170mila negli anni ’50 e ’60, molti provenienti dal Meridione. Poi, tra il 1951 e il 1968, oltre 40mila connazionali raggiunsero i loro cari grazie a un accordo bilaterale che facilitava il ricongiungimento familiare e l’inserimento lavorativo.
Molti furono reclutati per progetti grandiosi come quello idroelettrico delle Snowy Mountains; altri trovarono impiego nelle acciaierie o nelle nascenti industrie delle grandi città. E una volta terminati i contratti, la maggior parte scelse di stabilirsi nelle periferie di Melbourne e Sydney, plasmando con la loro cultura, il loro lavoro e la loro vitalità il tessuto sociale, politico ed economico di queste città in crescita.
Durante la speciale serata, il passato è tornato a vivere, le distanze si sono annullate e il cuore pulsante della comunità migrante ha ritrovato, in voci e immagini, un pezzo della propria anima.
Perché è vero: sono i ricordi a plasmarci, a definirci, a renderci ciò che siamo. E Memories That Make Us è un atto d’amore verso quella memoria collettiva, un monito prezioso per le generazioni future: non dimenticare mai da dove veniamo, perché in quelle radici affondano la nostra forza e la nostra identità.