Rilassata, circondata da ragazze adolescenti mai stanche di tuffi, in armonia con il fidanzato Claudio Pallitto, Micaela Ramazzotti si gode l’estate. Intanto attende l’uscita del film La guerra di Elena di Stefano Casertano, a cui ha dato - tanto per cambiare - l’anima, magari dopo una première alla Festa del Cinema di Roma. Nel frattempo lavora a una seconda regia, dopo l’exploit d’esordio di Felicità e si prepara a due progetti ancora top secret da interpretare in autunno. 

“Sono serena - confida, circondata da una nuova tribù di famiglia allargata, le figlie di lui, la figlia di lei - vivo una fase di maturità, meno ansiosa di come sono sempre stata, più scialla come direbbero le ragazze”. Giornate di bagni al mare... “Merito questo riposo, per Elena mi sono impegnata tantissimo. Ho fatto tanto sport, del resto ho il personal trainer in casa: Claudio mi allenava tutte le mattine, mi portava a fare sport outdoor nel parco della Caffarella a Roma con la pioggia o con il sole, sembravo Rocky.  E poi l’impegno studiando a fondo il personaggio cui restituiamo memoria, Elena Di Porto. Con il giudaico romanesco è stata un’avventura. Sono romana, anzi di una periferia lontana come Axa, ed ero convinta fosse una passeggiata almeno il linguaggio... macché. Mi ci sono ammalata per imparare questo dialetto che si parlava nella Roma della guerra e oggi quasi del tutto scomparso”. Il film è un’opera prima... “Ne ho accettate tante nella mia carriera, mi prendo dei rischi grandi, ma se c’è la storia mi butto, per me viene sempre prima di tutto”. 

Di questa cosa la attirava? “Più leggevo di Elena più m’innamoravo, era selvaggia, generosa, coraggiosa, ribelle. Una donna così non l’avevo mai interpretata, finalmente mi ha dato la possibilità di misurarmi con altri aspetti del femminile meno fragili, meno problematici. Sono i ruoli che mi hanno fatto apprezzare e non li rinnego. Ha funzionato all’inizio e ho proseguito ad accettarli perché queste donne vedevano in me registi e produttori, Elena è diversa, una guerrigliera, una bestia, portava i pantaloni in epoche in cui non si usavano, lasciò il marito quando certo non c’era il divorzio, faceva la boxe nelle trattorie del Portico d’Ottavia sfidando gli uomini, pur di difendere la famiglia e le persone del ghetto ha sfidato i nazisti, era una testa calda e infatti entrava e usciva dal Santa Maria della Pietà talmente era diversa”. 

A teatro proprio in questi mesi e nei prossimi lo stesso personaggio l’ha portato Paola Minaccioni, l’ha visto? “L’ho applaudita alla Sala Umberto, la sua Elena la matta mi ha emozionata”. Spera in un festival? “Il regista è alla prima prova ma ho fiducia in lui, il 16 ottobre c’è l’anniversario della razzia del ghetto, il cast con Valerio Aprea e Giulia Bevilacqua è ottimo, mi sembra che siamo in zona Festa di Roma, me lo auguro. I festival servono moltissimo. Sono ancora grata a Venezia per aver dato visibilità al mio primo film Felicità in una sezione che amo molto, Orizzonti”. Da Felicità le cose sono cambiate? “È stata una svolta, altroché. Innanzitutto una grande botta di autostima. Fare un film proprio come lo volevi, con una storia che dentro aveva un cuore nascosto con il mio vissuto personale, con gli attori come Max Tortora e Anna Galiena che ho voluto dall’inizio e mi hanno dato fiducia, con il supporto dei produttori che hanno creduto in me, notti insonni a preparare, poi girare, post produrre nel rispetto di tutti. È stato liberatorio: ce l’ho fatta, è stato anche rompere un pregiudizio che sentivo su di me”. 

Dalla separazione con Paolo Virzì, non senza complicazioni, ad oggi: una nuova Micaela? “Prendo le cose come vengono, è la vita, i nostri adorati figli non saranno i primi a sperimentare il dolore di separazioni, piano piano anche loro capiranno e già ora va meglio, importante è essere genitori attenti, comprensivi, educanti. Io per esempio sui social sono ferrea, li trovo destabilizzanti e anche con lo smartphone a un certo punto si mette via nel cassetto dopo il troppo uso. Certo quando saranno più grandi non sarà facile”. A che punto siamo con la valorizzazione dei ruoli femminili nel cinema italiano? A Venezia quest’anno su cinque film in concorso nessuno è firmato da donne. “Tanta strada in salita ma anche un pezzo fatto. Se penso ai film che mi sono piaciuti di più negli ultimi anni mi vengono in mente solo film di donne, da Valeria Golino a Paola Cortellesi, a Francesca Comencini il cui Tempo che ci vuole mi è piaciuto immensamente. A Venezia a Orizzonti ci sono Cavalli e Samani, le aspetto”.