BERLINO – Berlino vuole scegliere, non più soltanto essere scelta. I richiami dell’Ue a difesa della libera circolazione e il coro di voci contrarie dei Paesi vicini non fanno arretrare Olaf Scholz. Il Cancelliere, assediato dai rivali cristiano-democratici e tormentato dall’onda nera di Alternative für Deutschland, difende la nuova linea dura sulla politica migratoria intrapresa con il rafforzamento dei controlli a tutte le frontiere interne per almeno sei mesi e l’accelerazione sui rimpatri.

La Germania resta, nelle rassicurazioni offerte al Bundestag, “un Paese che dà protezione”. Ma, davanti ad attacchi islamisti, minacce criminali e welfare in difficoltà, “questo non significa che chiunque possa entrare”.

Una linea rossa tracciata dal Cancelliere anche per non soccombere ai colpi dell’avversario della Cdu, Friedrich Merz, che - seppur superato a destra da AfD - della questione migratoria ha fatto il suo cavallo di battaglia per strappare alla socialdemocrazia di Scholz il feudo del Brandeburgo alle elezioni del 22 settembre. Fallito sul nascere il tentativo di campo largo sul tema, lo scontro davanti ai deputati tra la maggioranza semaforo del Bundeskanzler e la Cdu-Csu è stato senza esclusioni di colpi.

La politica migratoria non si risolve “con un’intervista alla Bild an Sonntag”, ha attaccato Scholz replicando alle critiche di “immobilismo” ricevute all’indomani del fallimento del vertice abbandonato dall’opposizione che, impegnata a chiedere respingimenti tout court - contrari alle direttive Ue e internazionali - lo aveva accusato di “misure insufficienti” per affrontare l’emergenza esplosa sul finire di agosto con la strage di Solingen per mano di un siriano.

“[L’apertura al mondo] è scritta nella nostra Costituzione e non la mettiamo in discussione”, ha sottolineato il Cancelliere, rivendicando la rettitudine dell’azione della sua maggioranza - pur non compatta al suo interno - che “ha messo fine all’inerzia” dei politici conservatori.

Una frecciata diretta anche ad Angela Merkel: nel 2015, mentre i rifugiati dalla Siria si riversavano in Europa, fu lei a spalancare le porte della più grande economia del continente con la celebre esclamazione ‘Wir schaffen das!’: ce la faremo. Adesso, per farcela, Berlino punta a mantenere i controlli il più a lungo possibile (anche due anni) e respingere alla frontiera i migranti arrivati attraverso un altro Paese e che avrebbero dovuto chiedere asilo lì. Misure di emergenza che - con l’avanzata delle forze populiste e di ultradestra - rischiano di inaugurare la fine di Schengen.

“Cancelliere Scholz, benvenuto nel club!”, è stato il commento ironico del primo ministro ungherese, Viktor Orbán, fiero capofila tra i Ventisette della politica zero migranti e confini blindati. La Commissione europea teme l’effetto domino: a partire dall’Austria, dove si vota a fine mese e i sondaggi vedono l’estrema destra del Fpoe in vantaggio. Per mettersi al riparo, il gruppo di lavoro Ue su Schengen si riunirà a livello tecnico venerdì. E alcune capitali si aspettano “chiarimenti” da Berlino. 

Con il mandato agli sgoccioli e Ursula von der Leyen impegnata nei delicati negoziati per formare la squadra del suo bis, però, nemmeno Palazzo Berlaymont sembra volersi esporre più di tanto. La linea resta quella del “coordinamento” per implementare il nuovo Patto sull’asilo e la migrazione. Quell’accordo storico, aveva tuttavia scandito la stessa ex ministra tedesca in piena campagna elettorale con il supporto di Merz e del suo Ppe, “non rappresenta la fine della riflessione sugli strumenti a nostra disposizione”. 

Tra quelli del futuro, potrebbe esserci anche il modello Ruanda (o Albania) con l’esternalizzazione delle domande d’asilo sostenuto anche dall’anima liberale della coalizione semaforo di Scholz.