BUENOS AIRES - Nel Giorno della Memoria, Verità e Giustizia, il governo di Javier Milei sceglie la sua narrazione. E anziché condannare il terrorismo di Stato, cerca di equiparare la violenza della dittatura civico-militare (1976-1983) a quella dei gruppi di guerriglia.

Attraverso un video ufficiale, l’amministrazione libertaria ha tentato di imporre una versione storica negazionista su quanto accaduto in quel periodo, come già aveva fatto l’anno scorso.

Il fulcro della polemica è stato appunto il video diffuso dalla Casa Rosada, intitolato Memoria, Verdad y Justicia. Completa (quest’ultima parola in rosso). Il protagonista del video è il politologo di estrema destra e fondatore della Fundación Faro, Agustín Laje.

Nel materiale, della durata di 19 minuti, Laje afferma che il colpo di Stato e il piano di sterminio pianificato furono in realtà “una guerra” tra lo Stato e gruppi armat,i come Montoneros e l’Erp, e nega il numero dei desaparecidos, alimentando così la vecchia “teoria dei due demoni” che equipara le organizzazioni armate e la violenza dei militari.

Laje, che racconta di essere nato nel 1989 e di aver vissuto “tutta la sua vita in democrazia”, sostiene che “ben lontani dal conoscere ciò che è realmente accaduto negli anni ‘70, gli studenti del XXI secolo sono stati indottrinati con un racconto fumettistico, manicheo e riduzionista”.

Le omissioni chiave del racconto ufficiale

Il video diffuso dal governo nazionale omette una serie di fattori, fondamentali per spiegare come il piano attuato dal governo militare sia stato un genocidio e facesse parte di un piano sistematico di sterminio.

La formazione dei militari argentini, a partire dal 1957 (quasi vent’anni prima del colpo di Stato e quando la guerriglia ancora non esisteva) era effettuata da militari francesi specializzati in “tecniche controrivoluzionarie” usate durante la Guerra d’Algeria. In altre parole: torture e eliminazione fisica dei nemici. E questo dato storico smentisce l’idea che la repressione sia stata una “risposta”, in conseguenza alla violenza della guerriglia.

“Non è giusto occultare la situazione di guerra rivoluzionaria vissuta dall’Argentina negli anni ‘70”, afferma Laje. Tuttavia, è provato che al momento del colpo di Stato la guerriglia era già stata smantellata. O, meglio, già annientata dal terrorismo di Stato, che operava in collaborazione con la Triple A (Alleanza Anticomunista Argentina, un’organizzazione paramilitare che precedette la dittatura) e non con gli strumenti legali dei processi.

Inoltre, secondo il rapporto della Conadep del 1984 (la commissione presieduta da Ernesto Sabato e voluta dal presidente Raúl Alfonsín per fare luce sui crimini della dittatura), la maggior parte dei desaparecidos erano civili, senza legami con gruppi armati né militanza politica, il che smentisce anche l’idea che il golpe sia stato una risposta alle azioni della guerriglia.

Il video ufficiale cerca di giustificare l’assalto al potere politico del 24 marzo 1976 come una “necessità”, per ristabilire l’ordine nel Paese, squassato dalla violenza politica dell’epoca. Tuttavia, omette di menzionare il ruolo dei settori economici e politici che appoggiarono il golpe, così come quello di oltre 1.000 civili condannati nei processi degli scorsi anni, per complicità con la repressione statale.

La dittatura militare fu infatti sostenuta e incentivata da gruppi imprenditoriali che beneficiarono delle politiche economiche imposte dal regime e molti di loro collaborarono attivamente con la repressione.

Un caso emblematico è quello di Carlos Blaquier, proprietario dell’ingenio (stabilimento per la produzione di zucchero di canna) Ledesma, morto impunito senza essere mai stato condannato per il suo coinvolgimento nella “Noche del Apagón”. In quell’episodio - nel luglio 1976 - la Polizia di Jujuy, insieme alla Polizia Federale, alla Gendarmeria e all’Esercito, interruppero l’elettricità e isolarono le città di Libertador General San Martín, Calilegua e El Talar.

L’unico luogo rimasto illuminato fu proprio l’ingenio Ledesma E lì, quella notte, furono sequestrate 400 persone: delegati sindacali, studenti e attivisti politici, molti dei quali torturati all’interno di una proprietà dell’azienda. Trentatré di loro risultano ancora desaparecidos. L’operazione avvenne appena quattro mesi dopo l’inizio della dittatura.

“Il numero di 30mila desaparecidos non ha alcun fondamento e fu imposto dalla propaganda”, ha affermato anche Laje. Tuttavia ammette che “ci fu una repressione illegale da parte dello Stato” e che quello stesso Stato nascose le informazioni sui sequestri, gli omicidi e le sparizioni forzate. Sa anche che il rapporto della Conadep del 1984 - che identifica 8.960 vittime - è limitato e che, nel corso degli anni, sono state presentate numerose altre denunce, da parte di famigliari che nel 1984 erano troppo spavantati per farsi avanti.

Il numero totale dei detenuti-desaparecidos e delle vittime del terrorismo di Stato rimane sconosciuto, a causa del carattere clandestino e illegale dell'operato dello Stato, in particolare delle forze armate e di sicurezza di quel periodo.

L’individuazione, da parte dello Stato argentino, di oltre 800 centri clandestini di detenzione durante l’ultima dittatura civico-militare è un elemento chiave nelle indagini sui crimini contro l’umanità commessi in quel periodo. Questi centri, in cui si praticavano torture, omicidi e sparizioni forzate, facevano parte di un sistema repressivo organizzato e sistematico.

La cifra stimata di 30mila desaparecidos, storicamente utilizzata da organismi per i diritti umani come le Madres e Abuelas de Plaza de Mayo, si basa su molteplici fonti, tra cui le testimonianze dei sopravvissuti che hanno permesso di ricostruire la quantità media di detenuti in ciascuno dei circa 800 centri clandestini di detenzione, documenti ufficiali e archivi declassificati che rivelano la portata dell'operazione repressiva.

Nel 2006, ad esempio, documenti declassificati dal dipartimento della Difesa degli Stati Uniti mostrarono che i militari argentini stimavano di aver ucciso o fatto sparire circa 22mila persontra il 1975 e la metà del 1978, quando mancavano ancora cinque anni al ritorno della democrazia.

Infine, la versione ufficiale omette anche di menzionare la profonda disparità di forze tra lo Stato e le vittime della sua violenza. “Hanno cancellato dalla memoria storica l’operato delle organizzazioni terroristiche”, sostiene invece Laje.

Martín Kohan, filosofo e scrittore, ha spiegato questa mattina in un’intervista al canale Youtube Gelatina: “Respingere la teoria dei due demoni non significa negare l’esistenza della lotta armata e considerare solo il terrorismo di Stato, ma mettere in discussione l’equiparazione politico-giuridica di una violenza con l’altra”.

Secondo Kohan, non si può equiparare la violenza dello Stato con quella di un movimento, per quanto armato: “La violazione della legge è sempre più grave quando a commetterla è lo Stato. Lo Stato non solo detiene il monopolio della forza legittima, ma ha anche la funzione di stabilire la legge e garantirne il rispetto. Per questo, la rottura dell'ordine legale e la commissione di crimini - peraltro di estrema gravità - assume una natura e una gravità completamente diverse quando è lo Stato stesso a infrangere la legge”.