Sono trascorsi quasi cinquant’anni e di quella breve esibizione rimbombano ancora gli echi. Sarà perché fu l’unico duetto fra due immensi protagonisti della canzone italiana o perché era rara la possibilità di ammirarli dal vivo a causa della decisione di entrambi di non fare concerti: Lucio Battisti già dal 1970, Mina lo seguirà otto anni dopo. Gli 8’23” del medley dei due artisti a “Teatro 10”, andato in onda nella primavera del 1972 nelle tv in bianco e nero di tutt’Italia, continuano a emozionare. La Rai non sapeva che quella domenica sera stava trasmettendo un pezzo di storia della musica d’autore.
Uno dei musicisti che accompagnarono Battisti e Mina, Massimo Luca oggi vive a Legnago, in provincia di Verona. Ricordandosi delle due chitarre che portò con sé al teatro delle Vittorie, racconta alcuni retroscena. Innanzitutto, ma come venne decisa la scaletta con la sequenza di sette canzoni? “La scaletta ha qualcosa di misterioso e, al tempo stesso, di incredibile. Noi cinque del complesso, all’epoca ci ci chiamava così, ci ritrovammo alla stazione centrale di Milano per il treno notturno diretto a Roma. Verso le 23 Lucio si presentò e ci diede un pezzo di carta con scritti dei titoli e ci chiese di concatenare le canzoni in base alle tonalità. L’unico che aveva uno strumento con cui provare qualche accordo ero io, con una delle mie due chitarre, una Martin del 1951”.
“Sul vagone letto, io e Gabriele Lorenzi, il tastierista che nelle immagini televisive dell’esibizione si sente ma non si vede mai, ci inventammo questo medley che poi andò in onda: ‘Insieme’, ‘Mi ritorni in mente’, ‘Il tempo di morire’, ‘E penso a te’, ‘Io e te da soli’, ‘Eppur mi sono scordato di te’, ‘Emozioni’. Lucio ci diede il suo benestare e andammo tranquillamente a dormire nelle nostre cuccette.”
“Qual è la cosa incredibile? Non abbiamo fatto una prova degna di tal nome. La mattina dopo siamo arrivati nella capitale, siamo andati subito al teatro delle Vittorie e nel pomeriggio abbiamo registrato, il programma non era in diretta, la sequenza delle sette canzoni con Lucio e Mina. Poco prima, con i due artisti abbiamo fatto una ‘prova a vuoto’ nei camerini, più che altro per fare collimare il tempo di ingresso dei singoli brani. Nella realtà una prova generale non c’è mai stata. Mi ricordo Mina che mi passò davanti all’ingresso dello studio poco prima di andare in scena e mi chiese: ‘Max, allora con gli accordi tutto bene?’. Io le risposi: ‘Vai alla grande!’, mentendole spudoratamente perché quello fatto prima non poteva essere definita prova. Poi non vi fu una minima sbavatura.‘Buona la prima’, come si dice, non abbiamo dovuto rifare niente. certo, siamo stati bravi, ma pure fortunati”. Nelle immagini in bianco e nero, all’inizio si vede un Battisti piuttosto impacciato... “Lucio era una persona molto timida, con un carattere non facile. Non si sentiva a suo agio in mezzo a tante persone, stava meglio da solo”.
Finita l’esibizione, realizzaste di avere compiuto un qualcosa di storico o no? “Nell’immediatezza, assolutamente no. Per noi era un momento del nostro lavoro. Andare al teatro delle Vittorie dove andavano in onda gli spettacoli del fine settimana, quella sì era stata un’emozione. Vedendo i componenti dell’orchestra applaudire insieme al pubblico, personalmente ho avvertito una grande soddisfazione. Noi, in fondo, eravamo musicisti che venivamo dalla strada, non avevamo certamente studiato al conservatorio”. Dopo cosa successe? “Lucio registrò da solo ‘I giardini di marzo’ in playback. Era il singolo in qiel momento in promozione. Quindi tornammo alla stazione Termini e da lì rientrammo a Milano, sempre in vagone letto”.
Ma Massimo Luca com’è entrato a far parte dei cosiddetti “cinque amici venuti da Milano”, nella presentazione dello stesso cantautore reatino? “Nel 1971, l’ex batterista dei Ribelli Gianni Dall’Aglio, all’epoca collaboratore di Battisti, gli diede il numero di telefono di casa mia perché lui cercava un giovane chitarrista ‘pratico’, come si dice a Roma, per l’etichetta Numero 1, sua e del paroliere Mogol. Battisti amava cambiare musicisti, sentire nuove cose. Mi chiamò una sera, avevo 21 anni e abitavo ancora con i miei genitori.Mia madre mi disse che c’era un certo Lucio alla cornetta che chiedeva di me. Quando risposi e capì che dall’altro capo della linea c’era Battisti rimasi senza parole, tant’è che a lui parve che fosse caduta la linea. Spiegò che mi avrebbe fatto chiamare da Antonella Camera, la sua segretaria alla Numero 1. Dopo un paio di settimane venni convocato alla sede della Fonit Cetra per la registrazione di un brano di Battisti-Mogol però cantato dal povero Bruno Lauzi, ‘L’aquila’. Ricordo il mio timore, anche perché Battisti si piazzò dietro di me per battere la tumba con una mano e l’altra in tasca. Non vedendo il suo sguardo, non capivo se stavo andando bene o male. Chiesi lumi in regia, il produttore Claudio Favi mi rispose: ‘Ma Lucio ti ha detto qualcosa?’. Io: ‘No’. ‘Allora sta andando bene, se no chi lo sente’. Passarono altre settimane e venni convocato per la registrazione dell’album ‘Umanamente uomo, il sogno’, con dentro ‘I giardini di marzo’, ‘E penso a te’, ‘Comunque bella’... un capolavoro!”.
Fino a quando Luca ha lavorato con lui? “La mia collaborazione con Battisti è terminata dopo la registrazione di ‘Anima latina’, nel luglio del 1974". E non ha avuto più contatti? “No. L’ho rivisto per caso negli anni Ottanta. Mi trovavo in corso Buenos Aires a Milano, quando lo riconobbi seppure fosse molto cambiato. Lui ricambiò il saluto e mi disse: ‘Oh, te sei ingrassato!’. Io risposi: ‘Ma ti sei visto?’. Era molto più grasso di me. In quel momento, una giovane donna gli si avvicinò e cominciò a gridare: ‘Battisti, il mio mito!’ Lui serafico le rispose: ‘Non sono mica lui. Mi hanno detto che gli somiglio. Quello è pieno di soldi, magari fossi Lucio Battisti!’. La fan andò via non tanto convinta. Allora lui mi fece: ‘Vedi, loro amano l’uomo. Invece devono amare la mia musica, l’uomo non esiste, non c’è’. Ecco, lì sta tutta la filosofia del lavoro di Lucio”.
E con gli altri musicisti del 1972 si sente ancora? “Sì, certo. Con Dall’Aglio facciamo delle serate a tema. Le canzoni di Lucio sono immortali, continuano a offrire emozioni e affascinano anche molti giovani che non lo conoscono. Con il Covid abbiamo dovuto interrompere, ma speriamo di riprendere al più presto. Sono in contatto anche con Gabriele Lorenzi e Eugenio Guarraia. Purtroppo Angelo Salvador non c’è più”. Un po’ di nostalgia quando ripassano quelle immagini in bianco e nero? “Non tanto di quella trasmissione, di Battisti o di Mina. Nostalgia di quel periodo”.