CANBERRA - Scott Morrison ha dichiarato guerra ai social media minacciando di riconoscere come gruppi editoriali le grandi piattaforme, Facebook e Twitter, se non identificheranno e smaschereranno i troll, quegli individui che celando la propria identità inviano messaggi provocatori e offensivi con il solo obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi.
Il primo ministro ha detto, la settimana scorsa, che non permetterà ai troll cibernetici di continuare ad agire impunemente dal “palazzo dei codardi” dei social media.
L’attacco di Morrison, che era affiancato dal vice primo ministro, Barnaby Joyce, la cui famiglia è stata recentemente oggetto di velenosi messaggi online, dopo che il ministro della Giustizia, Michaelia Cash, ha dato il suo assenso, in linea di principio, ad una riforma giuridica che permetterebbe la rimozione di cavilli legali, che hanno permesso l’avvio di azioni legali, nei confronti di politici e media, per commenti da parte di terzi, sui social media.
Promettendo che il suo governo prenderà una posizione sempre più dura nei confronti dei troll e dei giganti della tecnologia che permettono loro di promuovere i loro messaggi dai contenuti offensivi, Morrison ha aggiunto: “I social media sono diventati il palazzo dei codardi, dove chiunque può andare, con il preciso intento di distruggere la vita di un altro individuo, mantenendo l’anonimato, e se le compagnie non identificano e smascherano questi scellerati, allora cessano di essere piattaforme e diventano gruppi editoriali, quindi passibili di reati quale la diffamazione”.
I commenti del primo ministro, che ha ricordato il ruolo di leadership giocato dall’Australia nel responsabilizzare i giganti tecnologici (con la legge sul pagamento ai media, per la pubblicazione di contenuti, ndr), dopo che la senatrice Cash, ha sollecitato i ministri della Giustizia di stati e territori ad un approccio consistente e in ottica nazionale, sulla riforma della legge sulla diffamazione.
Il mese scorso l’Alta corte ha decretato che gli editori potrebbero essere perseguibili per diffamazione anche se erano all’oscuro dei messaggi diffamatori postati sulle loro pagine social media, creando un precedente giuridico che ha dato il via ad un’azione legale da parte del giovane, ex detenuto del Territorio del Nord, Dylan Voller, contro grossi gruppi editoriali.
Il portavoce laburista alla Giustizia, Mark Dreyfus, ha scritto alla senatrice Cash sulla necessità di apportare delle riforme nel campo della diffamazione dopo la sentenza dell’Alta Corte. “Nella mia corrispondenza - ha spiegato Dreyfus - ho citato l’importante ruolo che ha avuto l’allora ministro della Giustizia, Philip Ruddock, nel convincere Stati e Territori nel 2004 di adottare una legge uniforme nel campo della diffamzione” .
Un documento di discussione del Consiglio dei ministri sulla riforma della Giustizia, prevede tra le opzioni, una linea di difesa per piattaforme digitali e titolari di profili Facebook, che non sono primari distributori del materiale postato da terzi, che, effettivamente, affonderebbe l’azione legale di Voller.
Il ministro della Giustizia del NSW, Mark Speakman, che ha presieduto la revisione sulla legge di diffamazione, ha detto che l’approccio nazionale sarebbe quello corretto: “C’è bisogno di uniformità nazionale sull’internet, che non ha confini statali”, ha detto.Per il ministro del Victoria, Jaclyn Smith, è necessario trovare un equilibrio “per proteggere la reputazione dell’individuo senza limitare eccessivamente la libertà di espressione”. Una portavoce di Facebook, la settimana scorsa ha fatto sapere che il gigante dei social media, collaborerà con i legislatori, per la riforma della legge sulla diffamazione.