MILANO – Gli ex alunni dell’Istituto per la formazione al giornalismo (Ifg) di Milano se lo ricordano perfettamente, Franco Abruzzo. Con le sue iperboli, le sue idiosincrasie e i suoi punti fermi. Come l’amore incondizionato per Il Giorno, il quotidiano dove aveva lavorato dal 1964 al 1983.

Franco “Ciccio” Abruzzo è morto il 12 aprile, nella sua casa di Sesto San Giovanni (Milano). Aveva 85 anni. Lascia la moglie Diana e le due figlie, Vittoria e Anna Maria.  

Chi non l’ha conosciuto di persona, ha comunque studiato sui suoi testi di diritto dell’informazione, per prepararsi all’esame di Stato ed entrare da professionista nell’Ordine dei Giornalisti. Di quell’Ordine, nella sezione regionale lombarda, Abruzzo è stato presidente per oltre 18 anni, dal 1989 al 2007.

Nato a Cosenza il 3 agosto del 1939, laureato in Scienze Politiche alla Statale di Milano, inizia a fare il giornalista nel 1959, nelle redazioni calabresi dei quotidiani Il Tempo e il Giornale d’Italia.

Nel 1962 torna a Milano e poco dopo entra al Giorno, all’epoca il quotidiano più moderno d’Italia, non a caso fondato da Enrico Mattei, per appoggiare la linea politica ed economica intraperesa. Innovatore per linguaggio (adotta quell’italiano neostandard che poi diventerà modello della lingua parlata attuale), veste grafica (sul formato dei tabloid inglesi) e contenuti (grande spazio alla cronaca nella sezione Fatti della vita, più che alla politica).

Si racconta che Gaetano Baldacci, il primo direttore, alle 2 del mattino andasse al mercato ortofrutticolo, con la copia fresca di stampa sotto il braccio, per leggere gli articoli ai lavoratori. E che, rientrato in redazione, cambiasse i termini che gli scaricatori non avevano compreso.

Abruzzo ha lavorato con tre “direttori storici” del Giorno: Italo Pietra, Gaetano Afeltra e Guglielmo Zucconi.

Nel 1975 viene convinto da Eugenio Scalfari a entrare nella neonata Repubblica, ma rinuncia subito e torna “al primo amore”, che lascerà nel 1983, per passare al Sole 24 Ore, allora diretto da Franco Locatelli.

Attivo nel sindacato di categoria, nel 1978 fonda la componente sindacale di “Stampa democratica”, con Walter Tobagi (ucciso dalle Br nel 1980) e Massimo Fini.

È stato anche presidente (dal maggio 1989 al maggio 1991) dell’Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo, l’ente senza scopo di lucro che gestiva l’Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo (Ifg), meglio noto come “la Scuola di giornalismo di Milano”. Qui si sono formati, tra il 1977 e il 2009, 682 professionisti, tra cui le firme e i più imporanti direttori di testata di questi anni: Aldo Cazzullo, Curzio Maltese, Laura Gnocchi, Barbara Stefanelli, Mario Calabresi, Pietro Senaldi, Lucia Blini, Jean Marie Del Bo e molti altri.   

Erano anni in cui le scuole di giornalismo venivano osteggiate dai colleghi che si erano fatti le ossa “sulla strada”, ma Abruzzo aveva capito che un giornalista ha bisogno di formazione, professionalizzazione e cultura generale e che queste competenze potevano essere insegnate in una scuola. Tanto che altri Ordini seguirono l’esempio lombardo, creando il loro Ifg amnche a Urbino e Bologna.

In tutti si entrava per concorso pubblico, dando una possibilità a tanti giovani di talento di accedere a una professione che, ancora oggi, si tramanda per via ereditaria, prima ancora che “sulla strada”.

Nella prima decade del 2000, Abruzzo porta avanti un’ulteriore battaglia: agganciare la formazione all’università, tanto che nel 2007 – dopo 30 anni dalla fondazione – l’Ifg chiude i battenti e si trasforma in una laurea magistrale della Statale di Milano.

Tra le sue battaglie deontologiche, come presidente dell’Ordine lombardo, quella contro la commistione tra giornalismo e pubblicità e la difesa della dignità della persona, con particolare riguardo ai minori, prima ancora che venissero prodotte le linee guida della Carta di Treviso, dedicate al trattamento delle notizie quando sono coinvolti bambini e adolescenti.