FIRENZE - Nuovo colpo di scena nell’infinita vicenda del mostro di Firenze: la moglie e i figli di Francesco Vinci avrebbero ottenuto la riesumazione del cadavere del loro congiunto per sapere, grazie all’esame del Dna, se è veramente il corpo dell’uomo trovato ucciso e carbonizzato nel 1993 nella campagna di Pisa.

Vinci, originario di Villacidro (Cagliari), è una delle figure indagate nella “pista sarda” sui delitti del mostro. Incarcerato nel 1982 come sospettato di essere l’autore dei delitti delle coppiette, fu poi scagionato e rimesso in libertà dopo il delitto dei ragazzi tedeschi a Giogioli del 1983 avvenuto proprio mentre era in cella. La riesumazione è stata annunciata dal criminologo e investigatore privato Davide Cannella, che si è occupato dei permessi comunali e di organizzarla per conto della moglie Vitalia Melis e di due figli di Vinci nel cimitero di un comune del fiorentino dove c’è la tomba.

Vinci fu trovato ucciso e carbonizzato nel 1993 nella sua auto insieme all’amico e servo pastore Angelo Vargiu nella campagna di Chianni, in provincia di Pisa. Ma, appunto, i familiari ipotizzano che il cadavere non sia suo e vogliono chiarire la questione con l’esame del Dna. “Abbiamo avuto l’autorizzazione comunale alla riesumazione e preleveremo i tessuti per fare il confronto col Dna dei familiari - ha spiegato Cannella -. In caso di conferma, il sospetto che non sia Vinci cade. Altrimenti avremo il cadavere di uno sconosciuto e dovremo sapere se Francesco Vinci, che è nato nel 1943, è ancora vivo e dove si trova”. Cannella comunque non ha escluso che l’estrapolazione del Dna dal cadavere, finora noto come quello di Vinci, possa essere valutato per altre comparazioni nell’ambito delle indagini del mostro.

La riesumazione, che di fatto si svolgerà su iniziativa privata, è prevista nei prossimi tempi. Cannella ha riferito che le operazioni saranno seguite dal genetista forense Eugenio D’Orio, docente all’università Federico II di Napoli, e dal dottor Aldo Allegrini di Lucca per la parte medico legale e, inoltre, che la procura del capoluogo regionale toscano “è stata avvisata ed è invitata a partecipare”.

Il duplice delitto, in cui Vinci e Vargiu furono uccisi nell’agosto del 1993 in modalità crudeli nel pisano, non è mai stato chiarito e, storicamente, nelle ricostruzioni del mostro viene richiamato tra le morti violente collaterali che hanno riguardato persone legate in vario modo agli indagati dei delitti delle coppiette. In particolare la figura di Francesco Vinci, così come quella del fratello Salvatore, fece parte della cosiddetta “pista sarda” seguita dalla procura fiorentina negli anni ‘80 per spiegare i delitti del mostro in un periodo in cui la Toscana, peraltro, era anche segnata dai sequestri dell’Anonima sarda.

Vinci era stato amante di Barbara Locci, uccisa con il siciliano Antonio Lo Bianco nel delitto del 1968 a Castelletti di Signa, primo delitto attribuito alla serie del mostro per via della medesima pistola, la Beretta calibro 22, e fu accusato dal marito della Locci, Stefano Mele, a sua volta già condannato, come l’autore del duplice omicidio del 1968