ROMA - Quando martedì mattina le edicole hanno aperto i battenti, su tutte le prime pagine dei giornali è ormai data per fatta l’intesa tra Pd e M5s sul nome del premier. La notizia infatti del via libera dem al governo Conte II si insegue tutta la giornata ed è inizialmente accreditata da una frase pronunciata in mattinata dal segretario del Pd Nicola Zingaretti che sembra aprire un’autostrada. “Sono e rimango convinto che serva un governo a questo Paese, dice Zingaretti e pertanto “sto lavorando per una soluzione seria, all’altezza dell’Italia, di forze non contrapposte che si incontrano e trovano selle soluzioni”. È un invito chiaro a Di Maio a rincontrarsi dopo l’aperitivo di venerdì sera, a cui sono seguiti due giorni di riflessione. Ma oltre ad invitare il capo dei 5 Stelle a sedersi di nuovo di fronte a lui, il segretario dem va oltre e telefona direttamente allo stesso premier, impegnato al G7 di Biarritz. Cosa si siano detti non viene comunicato, ma è un segnale palese di apertura verso Conte da parte del Pd, che però nelle stesse ore continua a ribadire la necessità di una forte “discontinuità” con il governo precedente. Fino ad oggi quella richiesta discontinuità sembrava essere diretta principalmente proprio alla figura di Giuseppe Conte e invece la mattinata di lunedì segna un punto di chiarimento nella convulsa trattativa tra le due forze politiche. L’ottimismo del segretario però non trova conferma da parte dei pentastellati e ad accrescere i timori dei dem arrivano i malumori di una parte del Movimento espressi per bocca del deputato Gianluigi Paragone, uomo cardine nella passata alleanza con la Lega. C’è poi anche un profluvio di offerte da parte del Carroccio, arrivate a Di Maio in via privata, ma fatte trapelare sui giornali. “Rinnoviamo la disponibilità ad aprire con i 5 stelle un confronto per arrivare a un accordo di legislatura” dice il ministro dell’Agricoltura leghista Gianmarco Centinaio, che aggiunge: “C’è l’ok a parlare con Di Maio nel momento in cui lo stesso Di Maio dovesse chiederci di fare lui il premier”.
Allarmato, Zingaretti raduna i suoi. C’è ancora troppa ambiguità, meglio essere cauti. Si studia la situazione e riemergono tutte le incertezze del segretario. È per questo che contro Matteo Salvini si attiva immediatamente un fuoco di fila dei renziani, che ribadiscono anche come dal Pd non ci siano veti o pregiudiziali di nessun genere all’accordo con i 5 Stelle.
Da parte sua però il Movimento riduce al massimo la comunicazione con l’esterno e si chiude in un vertice nel centro di Roma, al quale, oltre ai parlamentari e ai ministri più importanti, partecipano anche Davide Casaleggio, appena arrivato da Milano e Alessandro Di Battista. Sono loro due, a quanto pare, i più ostili all’alleanza con il Pd. Sarebbe un suicidio politico sostengono. La maggioranza però è per andare avanti, per chiudere in fretta come chiede il capo dello Stato. In serata la riunione dello stato maggiore pentastellato termina in modo positivo e nonostante sia tra i meno convinti, Luigi Di Maio telefona a Zingaretti per un incontro. La maggioranza dei gruppi parlamentari vuole l’accordo, spiega Di Maio al segretario, ma Davide Casaleggio chiede un voto degli iscritti su Rosseau, perché è convinto che la base sia contraria. Intanto però il capo 5 Stelle si sederà con il segretario del Pd. Alle 18 i due infatti si vedono puntuali a Palazzo Chigi, ma l’incontro non dura nemmeno mezz’ora. La brevità, sperano i fautori dell’accordo potrebbe essere segno di una intesa già raggiunta. Non è proprio così ma “la strada è quella giusta”, sostiene Zingaretti tornato al Nazareno.
Serve un nuovo vertice, programmato per le 21, alla presenza anche del premier Conte, che rientrerà apposta dalla Francia in anticipo. La sua partecipazione, sono tutti convinti, è un chiaro segno che l’intoppo nella trattativa non può essere lui e infatti, nemmeno il tempo di mettere piede a terra a Ciampino, che a Conte arriva un’altra telefonata di Zingaretti.
Quando l’incontro serale ha inizio sembra quindi che si vada alla chiusura, ma dopo tre ore le delegazioni sono ancora chiuse a Palazzo Chigi. Nel frattempo, da fuori, il bombardamento mediatico della Lega è battente ed è aperto dallo stesso Salvini, che alle 20.30 indice una conferenza stampa accusando l’accordo tra Pd e 5 Stelle di essere un “ribaltone” in piena regola.
Dentro Palazzo Chigi però si continua a discutere, perché le visioni restano distanti. L’apertura del Pd a Conte infatti non sarà indolore, perché a quanto trapela, i dem vorrebbero in cambio la poltrona di vicepremier, i ministeri più importanti, dall’Interno all’Economia e la poltrona di commissario europeo. Zingaretti vorrebbe restare fuori da tutto, rimanendo segretario e presidente della Regione Lazio e lo stesso dovrebbe fare Di Maio. Per i 5 Stelle estromettere il capo politico è però intollerabile, e lo schema deve essere quello già seguito con la Lega. I due capi politici a fianco di Conte a garanzia dell’accordo e per Di Maio anche un ministero pesante.
Alla fine, dopo quattro ore di colloqui, all’una di notte, Zingaretti esce dall’edificio accompagnato dal suo vice Andrea Orlando. I giornali sono ormai andati in stampa con la notizia dell’accordo sul nome del premier, ma le prime parole che arrivano dalle rispettive forze politiche in piena notte fanno tremare le redazioni. La “strada è in salita su programma e contenuti e sulla manovra finanziaria emergono differenze - fanno trapelare dal Nazareno. “La pazienza ha un limite”, è la gelida replica di fonti pentastellate, che smentiscono il racconto dei dem: “Il Pd oggi non ci ha parlato di programmi o di manovra bensì solo di ministeri”. Per il momento, concludono, “il M5s si attende una posizione ufficiale su Giuseppe Conte”. All’alba di martedì insomma, più che raggiunto l’accordo sembra addirittura essersi allontanato. LME