NEW YORK – Pochi minuti prima dell’attacco israeliano su Beirut risultato fatale per i vertici di Hezbollah, il premier israeliano Benjamin Netanyahu è salito sul podio davanti all’Assemblea Generale dell’Onu e ha ribadito che lo Stato ebraico non si fermerà fino a quando non avrà raggiunto una “vittoria totale”.

Ad ascoltarlo, un uditorio ridotto: molti delegati si sono alzati e hanno lasciato la plenaria in segno di protesta. “Non avevo intenzione di venire qui quest’anno. Il mio Paese è in guerra, sta lottando per sopravvivere. Ma dopo aver sentito le bugie e le calunnie rivolte al mio Paese da molte persone su questo podio, ho deciso di venire qui e di mettere le cose a posto”, ha esordito il premier. 

Al centro del suo discorso, l’Iran e la minaccia che rappresenta, non solo per Israele ma per tutto il mondo civilizzato. E ai “tiranni” di Teheran ha rivolto un avvertimento chiaro: “Se ci colpite, vi colpiremo. Non c’è un posto in Iran che non possiamo raggiungere. E questo vale per l’intero Medio Oriente”.

Come ha già fatto più volte, il leader israeliano ha mostrato due mappe della regione, per distinguere la “benedizione” - rappresentata dai Paesi che hanno accordi con lo Stato ebraico, compresa parte del Golfo dopo gli Accordi di Abramo, in un “ponte” che arriva fino all’India - e la “maledizione”, che racchiude la Repubblica islamica e i suoi alleati dell’’asse della resistenza. Tra questi, Hamas ed Hezbollah, “assassini selvaggi” dai quali Israele si deve difendere.

“Per troppo tempo il mondo ha chiuso gli occhi sull’Iran. Questo ‘appeasement’ deve finire e deve finire ora”, ha affermato Netanyahu, esortando “il mondo a unirsi a Israele per fermare il programma nucleare” di Teheran. Ha poi ricordato il massacro del 7 ottobre, le atrocità di Hamas e le oltre 250 persone rapite e trascinate a Gaza. Nel futuro della Striscia “non c’è posto per Hamas: non vogliamo rioccupare Gaza ma vogliamo una Gaza demilitarizzata e deradicalizzata”.