MANAGUA – È morto mentre era sotto la custodia della polizia sandinista del Nicaragua, che l’aveva arrestato due settimane prima, senza mandato né spiegazioni, secondo quanto denunciato dal gruppo per i diritti umani Monitoreo Azul y Blanco. 

Il corpo di Carlos Cárdenas Zepeda, avvocato con una lunga carriera nella funzione pubblica e già consulente della Contraloría General de la República, è stato restituito il 29 agosto alla famiglia.

Durante la crisi politica scoppiata nel 2018, Cárdenas aveva collaborato come consulente giuridico con la Conferenza episcopale del Nicaragua nel tentativo di avviare un dialogo nazionale con il governo Daniel Ortega. Il leader nicaraguense, ex guerrillero del fronte sandinista che aveva guidato la rivolta contro la dittatura di Anastasio Somoza (finita nel 1979), è stato capo dello Stato tra il 1985 e il 1990 e di nuovo dal 2007, quando il suo governo ha preso una svolta sempre più autoritaria.

Organizzazioni per i diritti umani come Monitoreo Azul y Blanco (che esegue un monitoraggio delle violazioni nel Paese centroamericano, dal 4 luglio 2018, giorno della repressione delle proteste che ha dato il via alla lunga crisi politica di Managua), ma anche Colectivo de Derechos Humanos Nicaragua Nunca Más (che rappresenta la comunità gay) e l’Unidad de Defensa Jurídica (che fornisce difesa contro le detenzioni arbitarie) denunciano l’episodio come un caso di una nuova modalità repressiva: detenzione, sparizione forzata e restituzione del corpo senza vita, spesso con sepolture lampo.

Il caso di Cárdenas segue quello di Mauricio Alonso Petri, altro oppositore politico, scomparso il 18 luglio e ritrovato il 25 agosto, quando i familiari sono stati convocati per il riconoscimento del corpo. Diverse organizzazioni denunciano che queste morti, lungi dall’essere eventi isolati, fanno parte di una politica sistematica di persecuzione e terrorismo di Stato.

Secondo i gruppi di difesa dei diritti umani, attualmente sono almeno 33 le persone scomparse forzatamente. Tra loro 11 donne. Una situazione che i gruppi di difesa per i diritti umani definiscono “sterminio silenzioso”.