Ho interpretato sempre donne che avevano qualcosa da dire. Ognuna è una gemma del mio gioiello. Nel mio film d’esordio ho raccontato la storia di Franca Viola, una ragazza degli anni ‘50 che ha detto: ‘Io non ci sto’. Con tutti gli strumenti che abbiamo oggi, non dobbiamo mai dimenticare la forza che abbiamo dentro. Noi donne abbiamo la forza di cambiare il mondo”. Sono le parole con cui Ornella Muti, acclamatissima al Giffoni Film Festival, ha lanciato un messaggio potente ricordando il suo film d’esordio, La moglie più bella di Damiano Damiani, che si ispira alla storia di Franca Viola, la prima donna in Italia a rifiutare il matrimonio riparatore.

Il ruolo che più di tutti le è rimasto dentro? “Non potrei scegliere un solo film. Ognuno è parte di me. Posso però dire che Codice privato è stata un’esperienza che mi ha segnato perché quel film era pensato esclusivamente per me, recitavo da sola e tutto ruotava intorno a me. Ma tutti i miei film sono miei bambini”. Alcuni personaggi restano dentro a lungo “come Immacolata, nello spettacolo teatrale L’Ebreo. Ho avuto il timore che Immacolata non sarebbe mai uscita dal mio corpo. Ma poi devono uscire fuori, altrimenti finisci per impazzire”. Ha ricordato con onore e piacere l’amicizia con Sean Baker, celebratissimo regista di Anora, protagonista degli ultimi Oscar: “Quando ho incontrato Sean prima ancora che vincesse l’Oscar, mi ha colpito tanto per la sua umiltà. Mi ha detto che mi considera la sua musa e ha voluto fare un cofanetto con i miei film. Quando un regista dice queste cose di te hai vinto il premio più importante come attore. Questa è la mia statuetta. Non ho parole. È troppo bello”.

Muti ha detto poi ai giffoner di non sentirsi affatto una diva né tantomeno un’icona: “In realtà, non desideravo nemmeno fare l’attrice: è successo. Sono stata travolta dagli eventi. Mi sono affidata ai registi. Non avevo una formazione, ma avevo fiducia in loro”. E ha ricordato con affetto la generosità di registi e colleghi ai suoi esordi: “Non avendo una preparazione tecnica, mi sono affidata. Penso a colleghi come Ugo Tognazzi, agli straordinari registi con cui ho avuto l’onore di lavorare, ti prendevano per mano. Imparavo osservando, lasciandomi guidare da chi credeva in me”. E ai ragazzi ha confessato i turbamenti che attanagliavano la giovane Francesca Rivelli, il suo vero nome: “Avevo tanta paura. Ero spaventata. Ma oggi le direi: non avere timore di osare”.